Archivia 28/02/2013

Contro la violenza maschile sulle donne educhiamo i giovanissimi

Negli ultimi mesi la cronaca, italiana in particolare, ci ha quasi assuefatti a episodi di violenza contro le donne, che portano addirittura al femminicidio.
Da quando è nato, nel 2009, il Gruppo UDI ‘Donnedioggi’ di Cernusco e Martesana ha fatto e continua a fare iniziative pubbliche di approfondimento del problema e di denuncia della violenza maschile contro le donne, convinto che il rispetto tra uomini e donne sia alla base della civiltà di un Paese.

Contro la violenza maschile sulle donne, educhiamo i giovanissimi al rispetto delle donne!

Per cominciare un’educazione delle giovani generazioni fin dalla preadolescenza, l’Udi di Cernusco ha proposto un laboratorio sperimentale alla scuola media, condiviso dall’Assessora Zecchini e dall’amministrazione comunale.
Il laboratorio, dal titolo Altre relazioni sono possibili. Contro la violenza maschile sulle donne, parte lunedi 4 marzo 2013 alla Scuola media di via don Milani, con le classi Terza D e Terza L, coordinate dalle docenti Marisa Chiappa e Tiziana Buccolieri.
Il laboratorio sarà condotto da Eleonora Cirant, dell’Unione femminile nazionale, e da Alessio Miceli, presidente dell’Associazione “Maschile plurale”: entrambi hanno al loro attivo un’esperienza specifica sul tema con studenti di varie scuole.
I loro obiettivi sono quelli di far riconoscere ai ragazzi e alle ragazze la violenza nelle relazioni quotidiane e cercare di smontare alla radice i comportamenti maschili violenti. Gli studenti comunicheranno poi ai loro coetanei il percorso fatto durante il laboratorio.
Infine, dopo il lavoro con i ragazzi, è prevista la restituzione dei risultati agli adulti ( genitori degli studenti, persone interessate e tutta la cittadinanza) con un incontro serale.
Certamente occorrerà tempo perché un lavoro culturale di questo genere possa dare i suoi frutti, affinché la mentalità di ragazzi e ragazze possa cambiare. Ma le donne dell’UDI sono convinte che questa sia la strada maestra per sconfiggere la violenza sulle donne: educare i ragazzi, già da giovanissimi, al rispetto reciproco tra uomini e donne e a riconoscere il valore di ciascuno, indipendentemente dal sesso cui appartiene.
 

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Pugilato femminile, intervista a Vissia Trovato

Vissia Trovato è una delle altete che partecipa alla prima riunione pugilistica “100% donna” nella storia della boxe italiana: il Trofeo Moroni, che si svolge in occasione della Giornata internazionale della donna 2013 a Cassina de’ Pecchi, organizzato dalla Palestra The Ring con patrocinio del Comune e della Federazione pugilistica italiana.

Cantante blues e maestra di canto, Vissia Trovato, che abbiamo intervistato per cernuscodonna.it, è anche un’inteprete d’eccezione della “nobile arte” del pugilato. Uno sport che rappresenta molto la vita, dice Vissia, e che può insegnare a conoscere i propri limiti e le proprie paure.

In che modo tirare pugni aiuta a conoscere se stesse?

Perché ti devi mettere nell’idea che li puoi tirare ma li puoi anche ricevere.

La boxe è un allenamento principalmente a confrontarti con i tuoi limiti, le tue paure, il modo in cui vivi te stessa. Il ring è una metafora di vita. Ti metti di fronte a paure che devi affrontare. Ed io credo che sia questo ad aiutare una donna a sentirsi più sicura.

In questo senso il ring è per Vissia una metafora di vita. Una metafora che può aiutarci a chiarire come la boxe può essere utile alle donne in un momento in cui la crescente e conclamata libertà femminile si scontra con i residui di una maschilità arcaica e i casi di violenza maschile sulle donne sono all’ordine del giorno.

E’ uno sport molto di coordinazione. Anche solo la tecnica di allenamento al sacco richiede la piena consapevolezza di ogni parte del tuo corpo. Penso anche al lavoro che chiamiamo “Sparring condizionato”: sai in anticipo che colpo ti arriverà, ma ti devi comunque confrontare con la paura di essere aggredito da qualcun altro. Questo ti insegna come sei. Mi sono accorta che le cose che mi spaventavano sul ring mi spaventavano anche fuori.

the ringVissia fa parte della squadra di 5 agonisti creata da Alfredo Farace, che nel 2008 ha fondato la Palestra The Ring di Cernusco. E’ qui che la incontriamo.

Il ring occupa gran parte dell’ambiente, illuminato da grandi finestre e popolato da una piacevole varietà di colori. La palestra, aperta dalle 10 alle 22, è dedicata al pugilato e segue un metodo di allenamento individuale secondo lo stile americano. L’unico corso di gruppo è quello di kick boxing, tenuto da un allenatore esterno.

Non posso fare a meno di notare che tutti i soggetti dei manifesti appesi sono maschili. Vissia e Barbara Fortunati, addetta stampa della Palestra, assicurano che il manifesto del Trofeo Moroni sarà solo il primo di una lunga serie.

Diamogli tempo: la storia della boxe femminile è appena cominciata. Come ci ha raccontato Maria Moroni, viene legalizzata solo nel 2001.

Solo poco prima si discuteva se le donne potessero anche solo entrare in una palestra di pugilato. Ci sono molte contraddizioni. La Rai trasmetteva gli incontri di Chantal Menard, campionessa di kick boxing, quindi anche con calci e pugni, senza caschetto. Ma le donne pugili no.

Chi sono le utenti della palestra The ring e perché scelgono la boxe?

Le donne sono circa il 15% della clientela. La maggior parte non sono proprio di primo pelo, hanno 30 anni, la mia età. Per il pugilato femminile è ancora un’età in cui si può fare qualcosa a livello agonistico.

Le donne che arrivano qui hanno tra i 30 e i 40 anni. Quando entrano sembra proprio che stia facendo qualcosa fuori dalle regole. Tante vengono con l’idea di sfogarsi. Faccio un allenamento intenso, c’è questa nomea giusta che l’allenamento del pugilato è completo. Scarico i nervi, esco e lascio tutte le tensioni attaccate al sacco: questo è il pensiero con cui scelgono il pugilato.

Cantante pugile: qual è il rapporto fra questi due aspetti della tua vita?

Boxe e canto sono due arti. Come ci si muove sul ring è un’espressione della propria persona. Trasmettiamo emozioni con il corpo e con la voce. Sia nel canto che nella boxe non c’è uno strumento al di fuori del corpo. Come nella danza.

Determinazione, coscienza del corpo, capacità di affrontare le proprie paure, arte. L’essenza del pugilato non viene snaturata dalla sua declinazione al femminile, che anzi la fa brillare con maggiore intensità.

Eleonora Cirant

Premio immagini amiche

Il 1 marzo 2013 si svolge l’evento collegato alla terza edizione del Premio immagini amiche, un concorso finalizzato a valorizzare una comunicazione che, al di là degli stereotipi, sia in grado di veicolare messaggi positivi e socialmente responsabili.

Il premio è promosso dall’Udi per contrastare la tendenza della pubblicità e dei media italiani ad abusare dell’immagine delle donne, svilendone il ruolo, affermando che una cultura diversa è possibile, incoraggiando la crescita di una nuova generazione di creative/i.

Fin dalla prima edizione, il premio è stato sostenuto dall’Ufficio del Parlamento Europeo per l’Italia, nella cui sede si tengono le iniziative relative al Premio Immagini Amiche.

Il progetto, promosso dall’UDI e dal Parlamento Europeo, che si svolge sotto l’Alto patronato del presidente della Repubblica, in partenariato con la Commissione europea, il Ministero dell’Istruzione e della Ricerca e quello delle Attività Produttive, è giunto quest’anno alla sua terza edizione.

Il premio è suddiviso in cinque sezioni:

  • pubblicità televisiva,
  • pubblicità stampata,
  • affissioni,
  • programmi televisivi
  • web.

Enel, Geox e Continental per pubblicità televisiva; Leroy Merlin, Coop e Femminile reale per le affissioni; TG2, Otto e Mezzo con Lilli Gruber e Invasioni Barbariche con Daria Bignardi per la televisione; il blog di Annamaria testa Nuovo e utile, il documentario A casa non si torna e il calendario “Donne italiane”, della Photopolis per il web; Milano, Enna e Reggio Emila come città virtuose sono i finalisti della terza edizione decretati da una giuria composta da esponenti delle istituzioni italiane ed europee, esperte/i di comunicazione, docenti universitarie, etc.

Il premio prevede anche una menzione speciale per un Comune che possa vantare un comportamento virtuoso in tal senso, specialmente tra i tanti che hanno deliberato adottando la risoluzione del Parlamento Europeo e deliberato.

Scarica il programma Premio immagini amiche

Altra metà del cielo

Le e gli studenti della compagnia teatrale del Liceo Giordano Bruno di Melzo, in collaborazione con l’ANPI, propongono uno spettacolo teatrale a Melzo in occasione della Giornata internazionale della donna. Partendo dalle differenze e dalla percezione che se ne ha, si interrogano sull’identità e sulle possibilità di relazione tra maschile e femminile.

L’altra metà del cielo

Come vedono gli uomini le donne? E le donne gli uomini?
E’ tanto difficile comprendersi, riuscire a “mettersi nei panni degli altri”, rompere con i preconcetti e i giudizi preconfezionati?
Cosa separa l’universo maschile da quello femminile?
Cosa li fa percepire come dimensioni diverse e assolutamente inconciliabili?

Forse è solo l’abitudine, forse la pigrizia nell’immedesimarsi, nel cercare di capire l’altro, forse l’eredità di una cultura che si è fossilizzata nei secoli… o forse solo l’incapacità di comprendere che è proprio nelle differenze, nelle diversità che caratterizzano i due sessi che si cela il segreto della vera parità che si identifica nella complementarità.

Le due metà del cielo cerca di indagare – con una certa freschezza di spirito – la percezione dell’altro sesso nella quotidianità della vita comune.

Lo spettacolo è realizzato dalla Compagnia allargata dei Personaetatis  in collaborazione con ANPI di Melzo per la ricorrenza della festa della donna.

Per comprare il biglietto di 5€ e per ulteriori informazioni vai sul sito della Compagnia

Lavorare con la sofferenza

Una riflessione sulle professioni di aiuto, di Silvia di Pietro. Come evitare il born out e come non farsi assorbire dalla sofferenza di chi stiamo aiutando.

Parlando con una amica che, proprio come me, si sta avvicinando alla fine del percorso universitario per essere proiettata in un futuro ad una professione di aiuto, mi dice del suo timore, la sua quasi reticenza (a mio parere più che giustificata) nei confronti della sofferenza e della prospettiva di una vita professionale accanto a chi nel dolore ci vive tutti i giorni, spesso senza troppe vie d’uscita.

Dico giustificata perché personalmente non credo a chi si è convinto di essere pronto a tutto, a chi dice di sapere già come affrontare qualunque situazione senza aver provato a riflettere nemmeno un attimo su quello che è il vero nocciolo del problema e non credo nemmeno a chi già si pensa assistente sociale, educatore, psicologo, mediatore e terapista tutto in una stessa persona ma non ha ancora sviluppato la più grande capacità che un operatore sociale possa avere: l’ascolto.

Tutte le professioni di aiuto implicano l’incontro con una persona sofferente in modo più o meno importante. L’incontro con l’altro è perciò un incontro con un altro fragile, bisognoso di cura e di attenzione, a volte malato, a disagio, in condizioni di inferiorità sociale, economica, fisica o di non autonomia. L’incontro con l’altro che soffre ci riporta alla nostra realtà psicologica personale e familiare, sia attuale che passata, e ci obbliga a considerare due elementi fondamentali: chi è il curante e perché ha scelto quella professione e come può fare il curante ad affrontare la sofferenza senza esserne travolto.

Il primo elemento ci spinge ad una riflessione, che è opportuno fare sempre nel nostro percorso, sulla storia personale di questa scelta. Come è nata l’idea di questa professione, cosa pensavo di fare, cosa poi ho fatto e ancora quali erano le mie aspettative, quali sono ora le mie condizioni, cosa mi aspetto dal mio lavoro, cosa mi piacerebbe che accadesse per migliorarlo, o meglio ho voglia di cambiare? Sono domande che non possono esaurirsi il giorno dopo la laurea e che ci servono a calibrare giorno dopo giorno il focus del nostro lavoro ed evitare di fossilizzarci su determinati aspetti tralasciandone altri.

Queste sono solo alcune tra le infinite domande che a volte si  pongono i curanti. Può anche capitare che il/la curante non sia consapevole delle ragioni profonde della sua scelta professionale e allora un eventuale malessere sarà proiettato all’esterno di sé con una operazione difensiva “classica” ma piena di pericoli. Tutti i meccanismi di difesa infatti hanno funzioni temporanee e se non sopravviene una modifica del proprio sé l’io è “costretto” ad aumentare l’intensità di tali meccanismi difensivi o di aggiungerne altri a quelli in uso con conseguente e probabile rottura dell’equilibrio psicologico.

Il secondo elemento ci conduce invece sul tema dei contenuti della professione. Ho deciso di fare questo lavoro, sono consapevole (o non sono consapevole) delle ragioni inconsce che mi hanno portato a questa attività ma ho delle domande, mi chiedo delle cose, oppure sono infastidito o stanco. Mi chiedo cosa posso fare per migliorare la mia professionalità, affrontare meglio il mio lavoro, il rapporto con i miei pazienti, vivere più serenamente la quotidianità.

Esiste poi un terzo elemento che complica le professioni di aiuto: si tratta di una dimensione  inconscia che spinge a strutturare il proprio lavoro in un modo piuttosto che un altro. La mia organizzazione  appare “razionale” ma comporta dei costi umani, delle sofferenze dei pazienti che io attribuisco alle necessità organizzative. Purtroppo le risorse sono quelle, gli orari sono quelli, la struttura è quella, e così di seguito.

Ma è proprio così?
Talvolta tali razionalizzazioni rispondono a un bisogno di difesa dall’ansia persecutoria e depressiva. E così accumulando si arriva ad una condizione chiamata “burn out”.  Burn out è un termine inglese che vuol dire tagliato fuori e che noi possiamo tradurre con : crisi, incapacità, mancanza di voglia, mancanza di iniziativa, depressione, pianto, voglia di cambiare, desiderio di essere aiutato, incapace di svolgere il proprio lavoro.

Cosa può rappresentare allora il nostro “salvagente” a cui aggrapparci quando ci sentiamo persi?

•    La formazione continua esterna, ma anche personale dell’ interessarsi, incuriosirsi, scoprire. La formazione come guida verso un percorso di cura di sé, in cui imparare ad osservarsi per capire quali sono di volta in volta i propri punti di forza e quelli di debolezza, e dove si impari a tracciare confini precisi fra il tempo in cui si può essere disponibili e quello in cui ci si mette da parte per prendersi cura di sé.
•    La supervisione di gruppo o individuale che ci permette di esternare quel mondo che anche involontariamente assorbiamo dai racconti delle persone , dai loro occhi, dalle loro case e che ci portiamo dentro. A volte sentiamo il bisogno di raccontare a nostra volta e la supervisione serve proprio ad avere uno spazio dove potersi confrontare con altre competenze e altre prospettive e dove sentirsi ascoltati. La fatica del lavoro di cura si fa insostenibile quando le difficoltà e le sofferenze si sedimentano dentro di noi senza che si abbia il tempo di pensare con altri la propria esperienza. Prima che la fatica arrivi ad un punto tale da impedire un agire sensato, occorre poter sospendere il proprio fare e mettersi in ascolto della realtà alla ricerca di nuove configurazioni di senso.

Anche nelle vite spezzate dove sembra non ci sia una strada del ritorno la forza è proprio nel riuscire a trovare una via secondaria, magari nascosta a prima vista, ma possibile. La via del vivere bene nonostante la sofferenza o imparando da essa.

La fiducia nel cambiamento e nella possibilità può essere agita anche di fronte alle situazioni che si presentano come i compiti più ardui. Mission impossibile? Chissà, l’importante è impegnarsi a trovare uno spiraglio laddove regna il buio, cercare il bandolo della matassa e iniziare a districarla.

La vera missione è trovare la giusta misura tra il distacco professionale e l’empatia cioè la capacità di co-sentire il vissuto dell’altro che è risorsa irrinunciabile, ma occorre imparare a gestirla, cioè sviluppare quella competenza dell’empatia che consiste nel custodire dentro di sé lo spazio di accoglimento dell’altro.

“ Niente ci rende così grandi, quanto un grande dolore “ diceva Alfred de Musset.
Concordi o meno con il poeta, sarebbe magnifico riuscire a compiere la nostra minuscola parte nel promuovere anche un lieve cambiamento nella sofferenza e non restare più a guardarla impauriti.

Silvia Di Pietro
 

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Pugilato femminile, intervista a Maria Moroni

Maria Moroni è la madrina dell’evento pugilistico promosso dalla palestra Asd The Ring di Cernusco s/N in occasione della Giornata internazionale della donna. A Maria Moroni infatti è intitolato il Trofeo che si disputerà il 9 marzo presso la palestra di Cassina de’ Pecchi. A sfidarsi saranno 7 coppie di giovani promesse pugilistiche, provenienti dal nord Italia. L’incontro, che nel linguaggio del settore si chiama “riunione pugilistica”, è dedicato alla forza e al coraggio femminile. Sono donne anche gli arbitri e la giuria, per la prima volta nella storia del pugilato italiano.

La prima volta di una riunione pugilistica tutta al femminile anche perché l’accesso delle donne alla boxe in Italia è un fatto molto recente. Maria Moroni racconta a cernuscodonna.it come prima del 2001 in Italia “la donna poteva solo fare la donna-cartello e non poteva salire sul ring per disputare un match”. Maria Moroni:

Prima del 2001 le donne non potevano salire sul ring se non per sculettare, una cosa che io aborro e mi fa arrabbiare, anche se fa parte dello sport la donna discinta che gira i cartelli.

La boxe femminile è stata riconosciuta dallo Stato italiano con decreto ministeriale del 4 aprile 2001 grazie al Ministro della sanità Veronesi, su consiglio dell’allora ministra per le pari opportunità Katia Bellillo. Lei è stata la promotrice di questo sport e la lotta è stata proprio sul concetto delle pari opportunità: una donna deve avere la possibilità di praticare ogni sport. Poi sta a lei scegliere se praticarlo o meno, ma non può essere discriminata.

Maria Moroni scopre la boxe nel 1999, quasi per caso. Frequentando una palestra, a Foligno, incontra una ragazza che si allena. Si incuriosice, si unisce a lei. E’ già abituata ad allenarsi perché pratica ad alto livello il pattinaggio artistico in coppia. Danza e pugilato sembrano due mondi lontanissimi, ma forse non è così se in pochissimo tempo Maria comincia a disputare le prime gare e a vincerle. Non in Italia, perché, come sappiamo, salire sul ring per gareggiare è illegale fino al 2001. La Moroni disputa i primi match all’estero, in Croazia e Stati Uniti, perché in Italia non può tesserarsi. Nel 2001 finalmente il decreto di legge apre la via al tesseramento e Maria può disputare il primo match ufficiale in Italia.

L’ingresso delle donne nella Federazione pugilistica italiana provoca qualche mugugno?

Grande mugugno. Il mio motto era vincere e convincere. Che le donne entrassero nella federazione più maschile, forse, in assoluto, era difficile da mandare giù. Oggi la vivono meglio, ma sotto sotto secondo me ancora c’è chi non abbraccia in maniera totale la boxe femminile. Eppure la discesa libera dello sci non è meno pericolosa.
Nella mentalità comune la donna non è fatta per lo sport, non è “nata” per lo sport. Tranne che per la danza. Su quasi tutti gli sport la presenza femminile è recente. Comunque vada, è criticata.

Le Olimpiadi hanno acolto le pugili solo nel 2012. In questa occasione la Moroni è stata commentatrice tecnica per Sky, sia per il pugilato maschile che femminile. E’ stato Giovanni Bruno, direttore degli eventi speciali, a darle l’incarico e merita una menzione perché per l’Italia una donna che commenta gli uomini e che ricopre un ruolo autorevole non è un fatto da dare per scontato.

Maria Moroni è stata anche la prima donna pugile ad essere eletta nel consiglio federale, il massimo grado della Federazione. Il suo mandato si è appena concluso (2009-2012). E’ stata eletta “in quota atleta”, cioè votata dagli atleti (Katia Bellillo è stata la prima eletta in quota societario). Benché nel consiglio federale attualmente in carica non sieda neanche una donna, Luisella Colombi, presidente F.P.I del Comitato Regionale Lombardo che interverrà al Trofeo Moroni, ci informa:

il nuovo presidente, Alberto Brasca, ha già iniziato a dare spazio e visibilità al settore femminile in modo chiaro ed inequivocabile. Da quest’anno sarà dedicato alle donne l’equivalente del torneo Nazionale “Guanto d’Oro” e sarà “Guanto Rosa“.

E’ una buona notizia per la boxe femminile, ma non solo. E’ un passo in più nel contrasto agli stereotipi di genere nel suo complesso.

Chiediamo a Maria Moroni quali siano gli stereotipi associati alla donna che si dedica al pugilato.

Si immagina la donna greve, brutale, quando non è così. Se nasci mascolina è perché madre natura ti ha fatto mascolina, non perché pratichi la boxe. Se sei graziosa rimarrai graziosa anche se pratichi la boxe. Non bisogna cadere nello stereotipo che la boxe faccia male alla donna, che la peggiori nei modi, che le faccia togliere la sua grazia e la sua femminilità.

Certo, a disputare tantissimi match dopo un po’ i lineamenti del viso ne risentono. Si può immaginare. E’, ad esempio, come la discesa libera dello sci. Per disputare quelle discese a quelle velocità una sciatrice ha i quadricipiti quanto me e lei messe insieme. Viene da sé. Con questo non immagino Debora Compagnoni grezza o mascolina.
Bisogna far cadere i tabù e i luoghi comuni. Io non sembro pugile. Però menavo, non è che scherzavo.

Hai mai preso a cazzotti un uomo?

No, perché gli faccio male. Non si può!

Eleonora Cirant
©cernuscodonna.it

Non trovo l'amore

Dopo tante storie fallite, forse è meglio stare da sola. A meno di non incontrare un uomo che si metta davvero in gioco. La lettera di una lettrice e il parere della psicologa.

Gentile psicologa
sono una donna di quarant’anni, autonoma grazie a un lavoro soddisfacente anche se faticoso. Un matrimonio da giovane e il divorzio dopo dieci anni. Dopo il marito ho avuto storie con tanti uomini, ma nessuno che si mettesse veramente in gioco. Il problema non è il sesso. Il problema è avere una relazione. Adesso preferisco stare da sola, ho chiuso con gli uomini. Almeno fino a che ne incontrerò uno che ne valga davvero la pena. La mia, più che una domanda, è una constatazione. Lei che incontra per lavoro tante donne ha occasione di parlare della loro intimità, cosa ne pensa della mia scelta? Selin

Cara Selin

molte delle donne che incontro allo Sportello, di età differenti, arrivano spesso ad una scelta simile alla sua. A volte dopo aver tentato di instaurare nuove relazioni senza successo, a volte come scelta a priori a seguito di una separazione o di un divorzio.

Certo le numerose esperienze fallimentari delle donne che incontro, condurrebbero facilmente a generalizzare e ad arrivare a pensare che ‘non ne valga la pena’ o che ‘gli uomini siano tutti uguali’ o che ‘meglio sole che male accompagnate’.

Talvolta scelte come la sua sembrano dettate da il meccanismo di difesa – l’evitamento – che permette alla persona di non entrare in relazione con ciò che potrebbe produrre ansia o malessere; strategia che potrebbe essere inizialmente vincente, ma che alla lunga potrebbe risultare poco efficacie, anzi fonte di sofferenza.

Seguendo il pensiero di alcune teorie psicologiche (Bowlby), possiamo considerare il legame di coppia in età adulta come un processo di attaccamento, ovvero come accadeva in età infantile ( il bambino chiede cure e protezione, la madre offre cure e protezione), il partner viene considerato come una figura di attaccamento in grado di offrire protezione e conforto.

Si sottolinea come non sempre le persone abbiano sperimentato un attaccamento così detto sicuro (hanno fatto esperienza di una figura di attaccamento disponibile e con la quale instaurare un rapporto di fiducia e sicurezza), ma bensì possono essere entrate in relazione con una figura di attaccamento scarsamente disponibile o aggressiva o distanziante.

In tal senso se consideriamo il rapporto di coppia come un processo di attaccamento, ecco come l’incontro fra gli stili dei due partner potrebbero condurre a difficoltà nelle dinamiche delle relazioni di coppia.

In riferimento a questo modo di punteggiare le relazioni di coppia, ritengo utile riflettere su quale possa essere il proprio stile di attaccamento, prima ancora di quello dei partner, così da assumere consapevolezza del proprio funzionamento, al fine di capire come mai le relazioni di coppia abbiano sempre lo stesso finale. Inoltre fare esperienza di una relazione che rassicuri, protegga e dia il senso della prevedibilità permette di modificare i propri modelli di attaccamento.

Sono proprio i sentimenti di sicurezza e appartenenza, senza i quali si sperimentano solitudine e irrequietezza a rendere le relazioni di attaccamento della vita adulta diverse da tutte le altre relazioni, incluse quelle amicali o quelle basate sulla pura gratificazione sessuale.

Chiara Bertonati, psiscologa e psicoterapeuta, Sportello donna Cernusco s/N

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Pranzo conviviale

Per la Giornata internazionale della donna l’Associazione Libriamoci di Bussero vi invita ad un

Pranzo conviviale

condito con racconti, ricordi e ricette.
Tutte le donne sono invitate a condividere una loro pietanza carattersitica e, se lo vorrano, i ricordi e i racconti che accompagnano il cibo che hanno preparato.
Prenotazione obbligatoria entro il 6 marzo
Con il patrocinio del Comune di Bussero
Scarica la locandina – 10 marzo conviviale bussero
Dettagli evento

Trofeo Moroni

In occasione della Giornata Internazionale della Donna l’A.S.D. Palestra The Ring di Cernusco s/N organizzerà un incontro pugilistico completamente in rosa, dedicandolo alla forza e al coraggio femminile.  Madrina dell’evento sarà una grande protagonista della boxe femminile italiana: Maria Moroni.

Il Trofeo avrà luogo a partire dalle ore 16.30 di sabato 9 marzo, nella palestra di piazza Unità d’Italia a Cassina de’ Pecchi, che per l’occasione patrocinerà l’evento insieme alla F.P.I. Comitato Lombardo.

Tanti gli ospiti che interverranno: Maria Moroni, Simona Galassi, campionessa mondiale IBF 2011/2012, Stefania Bianchini campionessa del mondo di kick boxing e di pugilato, Luisa Rosella Colombi, Presidentessa F.P.I Comitato Regionale Lombardo. Sia gli arbitri che la giuria saranno tutti al femminile!

A sfidarsi saranno 7 coppie di giovani promesse pugilistiche, provenienti dal nord Italia: Vissia Trovato, campionessa Lombarda attualmente in carica, della Palestra The Ring, intervistata da cernuscodonna.it; Eleonora Cattaneo della Nuova Pugilistica Comense, finalista del Torneo Italia e vincitrice del Torneo regionale lombardo nei pesi leggeri; Alessia Migale, H. Pug di Cesano Maderno, vincitrice Torneo Italia 2012 a Roseto degli Abruzzi; Diana Venditti, Pugilistica Ottavio Tazzi, semifinalista nel 2011 dei campionati assoluti italiani nei pesi piuma; Sindy Huyer Boxe Madone, ex campionessa di boxe thailandese che nel 2011 ha iniziato anche l’attività di puglilato.

Seguite i dettagli e gli approfondimenti su Cernuscodonna.it

NEW! Intervista a Vissia Trovato

NEW! Intervista a Maria Moroni

Evento su facebook

Giornata internazionale della donna, 2 serate a Cernusco

Per l’8 marzo, giornata internazionale della donna, il Comune di Cernusco propone due iniziative.

Venerdì 8 marzo

alle ore 21.00 presso la biblioteca comunale , via Fatebenefratelli, Cernusco sul naviglio
L’8 marzo, l’assessorato alle Culture e Pari opportunità organizza la presentazione di un libro sul lavoro delle donne nella filanda di Cernusco. Sarà presente l’associazione UDI donne di oggi che ha curato il progetto del libro. Sarà un’occasione per parlare anche delle condizioni di lavoro delle donne oggi. Inseriremo la locandina quanto prima.

Sabato 9 marzo

L’assessorato alle Culture e Pari opportunità organizza lo spettacolo teatrale Egoista
Con Davide Carbone, Danila Marongiu, Vanessa Musci, Sergi Monica, Marina Mannato, Simona Pappacena, Cinzia Cuffari, Antonio Ferrante, Gianluca Barbieri