Archivia 30/05/2013

Il filo femminile della memoria alla inaugurazione della nuova Filanda

In occasione dell’inaugurazione della Nuova Filanda, U.D.I. ‘Donnedioggi’ di Cernusco e Martesana presenta:

IL FILO FEMMINILE DELLA MEMORIA

installazione artistica permanente realizzata da numerose donne, cernuschesi e non

SABATO 1 GIUGNO 2013 ORE 11.00 – Via Pietro da Cernusco – CERNUSCO S/N

Il filo tiene vivo il ricordo delle donne che, fra ‘800 e ‘900, hanno lavorato nel setificio in condizioni difficili e faticose e unisce idealmente le filandére a noi, donne di oggi che, pur vivendo in condizioni sociali migliori, fatichiamo ancora ad avere parità di diritti nel lavoro, nella politica e nelle relazioni.
Ti aspettiamo!

Video di presentazione dell’opera


Alle filandére di un tempo
Sono stati cuciti per voi
fili d’oro e d’argento
e intrecciate e tessute
rafia, paglia, corda …
ricomposti brandelli
di cuoio, di pelle e di rustici sacchi
fino a trasformare in bellezza
con le pazienti dita
delle vostre antiche mani
fili e fili e fili …
che ci avvincono a voi
lungo il corso del tempo.
(dalle donne di oggi)
———————————————————————————————————————————–
Questa installazione artistica collettiva ha lo scopo di ricordare il faticoso lavoro nella filanda e le tante mani femminili che vi hanno operato tra ‘800 e ‘900.
Dal senso del lavoro comune e dalla compartecipazione all’atto del filare, cioè di ricondurre i bozzoli a filo, è nata l’idea di questo omaggio alle nostre antenate.
Più mani hanno elaborato pannelli decorativi, diversi, con l’aiuto di materiali di ogni genere, intrecci di reti e di fili che sono memoria del passato lavoro della filanda. L’unità compositiva che ne è derivata è dunque frutto di tante parti e di tante mani.
Ogni operatrice ha scelto, seguendo il suo gusto e in piena libertà, tecniche, modi, materiali da assemblare nella maniera più consona alla sua sensibilità. La composizione finale appare più densa e compatta al centro, quasi a sottolineare la fatica del lavoro comune, esaltandone contemporaneamente l’aspetto comunitario. Le parti laterali vanno gradatamente rarefacendosi ad indicare il passare del tempo e la graduale fine del duro lavoro femminile che ha caratterizzato un’epoca.
 Gruppo U.D.I. ‘Donnedioggi’-Cernusco e Martesana. Direttrice artistica: ANTONIA GARAVELLI
 

Dacci oggi il nostro caos quotidiano

Per la fisica la fine di tutto sarà quando l’ultima scintilla di energia si sarà spenta, nel progressivo raffreddarsi dell’universo. Nel frattempo nulla finisce, ma ogni cosa si trasmuta e cambia.
Per la fisica niente è slegato. La teoria, ormai famosa, del caos, ci parla dell’effetto farfalla, dove il battito d’ala di una farfalla in una foresta dell’Oriente, crea delle perturbazioni nell’aria che prendono forza nel loro divenire fino a creare un tornado a New York. A parte le maledizioni dell’abitante di Manhattan, ciò significa che ogni previsione dei fenomeni si deteriora, errori e incertezze si moltiplicano diffondendosi a cascata.

Tutto ciò non ricorda le nostre vite? Su questo si basa l’ultimo, a nostro parere, bellissimo libro della scrittrice inglese Penelope Lively dal titolo E’ iniziata così. L’operazione è esplicita e scoperta, anzi spesso commentata. Il caso fa succedere una piccola cosa a una persona e questo porta dei piccoli cambiamenti nella vita di chi è vicino a quella persona, che nel tempo portano alla crisi (disordine e cambiamento) di molte vite.

Lively_E-iniziata-cosìSolitamente le operazioni di tale tipo, le opere ‘a tema’ risultano fredde, costruite. Non è il caso di questo romanzo, dove la Lively riesce a costruire un quadro corale dove sette vite vengono trasformate da un piccolo causale evento, lo scippo subito da un’anziana signora da parte di un anonimo adolescente. Se da subito noi perdiamo le tracce dell’anonima causa di tutto, piano piano scopriamo come il fatto, come un’onda sull’acqua, colpisce le persone attorno a Charlotte e poi le persone vicine a queste ultime, crea cambiamenti, fa maturare decisioni, fa finire relazioni, fa nascere amori, scompiglia e ne mette in dubbio la quotidianità.
Un’altra bellezza di queste pagine, per noi malati di libri, è il ruolo che la lettura può avere nella vita della gente: accompagnare una vita, dare dignità sociale ed economica, avvicinare culture diverse, arricchire un rapporto intimo, ecc.

“Da sempre leggere per lei è stato essenziale, necessario, il suo sistema di supporto. La sua vita è stata plasmata dalla lettura. Ha letto non solo per distrarsi, per cercare conforto, per passare il tempo, ma ha letto in uno stato d’innocenza primordiale, in cerca di rivelazioni, di insegnamenti persino…ha letto per capire se per gli altri la realtà era la stessa che era per lei; quindi, scoprendo che spesso non lo era, ha letto per capire quali esperienze altrui si stava perdendo.
Lesse per scoprire come non essere Charlotte, come fuggire dalla prigione della sua mente, come espandersi e sperimentare. E così la lettura si è intrecciata con la vita, l’una il complemento dell’altra.
Charlotte è il prodotto tanto di ciò che ha letto quanto del modo in cui ha vissuto; è come milioni di altre persone forgiate dai libri, per cui i libri sono un alimento essenziale, persone che potrebbero morir di fame se non gli avessero.”

E Lively fa tutto ciò con maestria di scrittura (come sempre complimenti al traduttore..!), con garbo, senza forzature o drammi, con una simpatia verso i propri personaggi. Probabilmente ciò succede sia grazie al suo carattere genuinamente ‘british’ sia al fatto che ha forse scritto più per l’infanzia che per gli adulti.
Alla fine non ci saranno sconquassi finali, qualcosa cambia, qualcosa no. Nessuno sarà veramente felice, magari un po’ più sereno. Altri vivranno nel rimpianto di qualcosa che poteva essere, ma almeno nella consapevolezza che qualcosa d’altro esiste. E che non è mai detto…

“Dunque la storia era questa. Queste le storie di Charlotte, di Rose e Gerry, di Anton, di Jeremy e Marion, di Henry, Mark, e di tutti loro. Le storie innescate in modo così capriccioso da un fatto accaduto a Charlotte per strada, un giorno. Ma di fatto questa non è la fine della storia, delle storie. Il finale è un artificio: i finali ci piacciono – sono soddisfacenti, utili – e mettono un punto. Ma il tempo non si ferma, e le storie marciano al passo con il tempo. Allo stesso modo, la teoria del caos non prevede un finale; l’effetto domino va avanti, inarrestabile. Queste storie non terminano, ma si dipanano l’una dall’altra, ciascuna seguendo il suo corso.”

 
Biblioteca civica L. Penati

Un messaggio a Vandana Shiva, ecofemminista

Giovedì 16 maggio 2013 la nostra città, Cernusco sul Naviglio, ha avuto l’opportunità di ospitare Vandana Shiva, scienziata e attivista indiana, nota per il suo impegno in favore della biodiversità, del rispetto per l’ambiente e dell’equità sociale. 
Il convegno sul Progetto Gjusti (Green Jobs Università Scuole Territorio Imprese) rivolto agli studenti di alcune scuole superiori della Martesana e facente parte degli eventi di “Expo Days 2013”, si è concluso con l’atteso intervento di Vandana Shiva.

Un gruppo di donne che appartengono alle associazioni LUD (Libera Università delle Donne) e UDI Donne di Oggi (Unione Donne in Italia) ha ritenuto importante essere presente.

Molti conoscono Vandana Shiva per le sue posizioni ambientaliste e per i suoi interventi in varie nazioni dei diversi continenti a sostegno di movimenti e comunità locali, con lo scopo specifico di difendere i diritti dei contadini e di evidenziare i rischi ambientali e sociali dell’ingegneria genetica.

Forse non tutti sanno che, tra le tante iniziative di cui è promotrice, è anche fondatrice del WEDO (Women’s Enviroment and Development Organization) e riveste pertanto un ruolo importante nel cosiddetto movimento globale ecofemminista.

E’ per noi significativo che nei suoi numerosi scritti e nei suoi discorsi abbia dichiarato che il sistema attuale può essere cambiato positivamente attraverso un maggior coinvolgimento delle donne.

In particolare la valorizzazione e lo spazio dati alle donne può garantire un approccio più sostenibile e produttivo all’agricoltura. In un mondo sempre più tecnologico e dominato dal binomio economia – finanza, il pensiero di Vandana Shiva è certamente in controtendenza.

Come donne siamo particolarmente sensibili al progetto di lottare per l’equità sociale, contrastando l’ingiustizia e la marginalizzazione in tutte le sue forme. Crediamo che sia sempre difficile e coraggioso “cantare fuori dal coro”, soprattutto se a farlo è una donna in sari che sfida i giganti delle multinazionali e del pensiero omologato.
Anche durante il recente intervento alla trasmissione televisiva Ballarò ci è sembrato di percepire una sorta di diffidenza e il mancato riconoscimento della sua piena competenza. Per quel che ci riguarda, la presenza di questa attivista ci ha emozionato e il suo pensiero ha lasciato un segno in tutte noi. Anche chi l’ha sentita per la prima volta è rimasta coinvolta dalla potenza del suo messaggio e dalla sua personalità. Il carisma, specialmente se incarnato nel femminile, è qualcosa che aiuta noi donne a trovare “il senso” che cerchiamo e a dare un indirizzo costruttivo al nostro vivere.

Per esprimerle l’apprezzamento delle nostre due associazioni unite nell’iniziativa, le abbiamo fatto pervenire questo messaggio:

Gentile sig.ra Shiva,
vorremmo esprimerle il nostro apprezzamento per il suo impegno nel promuovere consapevolezza e nell’intraprendere azioni per il bene del pianeta che chiamiamo casa; appartiene a tutti e ognuno di noi può contribuire a renderlo un luogo migliore in cui vivere.
Le donne, come gli uomini, possono farlo assumendosi la loro parte di responsabilità per cambiare il sistema attuale in modo positivo.
Abbiamo bisogno di capire come possiamo agire diversamente. Per questo la sua presenza qui oggi è molto significativa.
Come associazione di donne, ci consideriamo fortunate di incontrarla nella nostra città: lei è nota per il suo impegno e gli incessanti sforzi sulle problematiche ecologiche e sociali dei nostri tempi.
Inoltre si è spesa contro la logica patriarcale dell’esclusione e ha vinto il “Right Livelihood Award” per “aver collocato le donne e l’ecologia al centro del discorso sullo sviluppo”.
Siamo perciò fiduciose che il suo carisma possa motivare a che sia garantita equità e dignità alle donne, che sono responsabili per il progresso di qualsiasi società.
Crediamo che lei possa indicarci chiare linee-guida per il futuro, di cui ci sentiamo tutte parte.
Grazie per essere tra noi.

UDI – Gruppo Donne di oggi Cernusco e Martesana
LUD – Gruppo di Cernusco
 
 
 
 
20/05/2013 Rosaura Galbiati – Rosanna Rossattini
 

Giallo

Quel giorno l’ho lasciata tra le braccia di mio padre, dormiva serena e perciò me ne sono andata a cuor leggero. Nonostante tutto il trambusto che avevo intorno, il muso lungo di papà e lo sguardo attonito di Giorgio, il nostro maggiordomo di sempre, un’espressione balorda che non gli avevo mai visto e che in quel momento non capivo.

Uscii di casa camminando all’indietro, qualcuno mi stava tirando per le spalle e io ogni tanto inciampavo nei miei stessi piedi, ma continuavo ugualmente a fare il gambero, forse lo trovavo divertente, e comunque in quel momento non sarei stata in grado di voltarmi, ché i miei occhi s’erano come incollati a quegli insoliti e vistosi bracciali che Giorgio s’era infilato intorno ai polsi, sembravano manette.

Era tutto a posto, lo sapevo. Avevo fatto il mio dovere fino in fondo.

Le avevo già dato un nome, e avere un nome era tutto, non le sarebbe servito altro; e adesso la stavo lasciando al sicuro in braccio a suo nonno, lì poteva dormire tranquilla.

«Lucrezia, papà! Si chiama Lucrezia!». Lo vidi annuire, e ne fui rassicurata.
Darle un nome. Scegliere un bel nome. Era stato questo il mio primo pensiero, la mia grande e unica preoccupazione nell’istante stesso in cui avevo saputo che lei sarebbe stata mia: l’ansia di trovarle un nome bello, degno di lei e di quello che per me sarebbe stata. Degno di me.
È questo quello che ho provato, e non gioia o tenerezza, certamente non sconforto né paura di non essere all’altezza o chissà che altro. E dopotutto credo sia stata una reazione naturale, visto che il non aver mai avuto un nome vero, un nome che mi appartenesse da subito e fosse realmente tutto mio, è sempre stata la mia grande dannazione.
Il nome di mia nonna me l’hanno appioppato per dovere, e potevano anche farne a meno, dico io, se poi mi hanno sempre chiamata col nome di mia mamma, poveretta… salvo poi pronunciarlo tutti, mio padre per primo, con quell’odiosa riluttanza triste che ero certa volesse dirmi: “Piccola cara non volermene, il suo nome te lo concedo ma rassegnati, non sei come lei né mai potrai esserlo… il confronto non regge!”
Mio padre stentava a pronunciarlo, quel nome, forse non riusciva ad abituarsi del tutto all’assenza di mia madre, così preferiva chiamarmi “piccolina” e se parlava di me con qualcuno diceva sempre e soltanto “mia figlia”. Per Giorgio ero “la signorina”, per zia Clara “la pupetta”, e per tutti gli altri, o quasi tutti, io ero semplicemente “la figlia di”; e dopotutto mi andava anche bene, se era proprio così che io stessa ero solita presentarmi: come “la figlia di”… figlia di mio padre e di una donna che non c’era più. Una donna molto bella e amata da tutti, che un giorno a causa mia era volata in cielo troppo giovane. Partorendo.

Quasi nessuno usava il mio vero nome, quello di mia nonna. E quando qualcuno mi chiamava con quel nome, il nome di mia madre, percepivo nei suoi occhi un conato di compassione che per me era una pugnalata in petto ogni volta, e allora il mio odio per lei cresceva, e io mi arrabbiavo con Dio e col mondo intero e poi anche con me stessa… per averla uccisa così, senza neppure esserne cosciente; arrivavo a pensare che avrei preferito farlo dopo, probabilmente con più motivi e maggior soddisfazione.

Pensieri malvagi, lo so, ma in fondo ero solo una bambina! Una piccola bimba indifesa, senza mamma e senza nome; che avrebbe forse voluto più affetto, e che sognava baci e carezze impossibili… e cercava vendetta alla sua impotenza sfogandosi in quelle innocenti farneticazioni.

La mia bambolina avrà un nome vero, tutto suo da subito e per sempre.

È stato questo il mio primo, anzi l’unico pensiero, il motivo l’ho già spiegato. Forse non ero molto lucida in quel momento, ricordo bene che mi ero appena fatta, la musica era troppo alta e il soffitto mi ballava addosso e le gambe mi s’intrecciavano in continuazione… ma sarebbe andata così in ogni caso, lo so, di questo sono certa.
Pensa e ripensa, quel giorno nel delirio ho scelto “Lucrezia”, che poi è diventato “piccola Lulu” che no, non è una storpiatura ma un diminutivo tenero, affettuoso: io sono la sua mamma, e quindi posso farlo.

Da quando è arrivata la mia Lulu, finalmente ho smesso di essere per tutti “la figlia di”, e sono diventata con orgoglio “la mamma di”. Il che, devo dire, è molto più gratificante.

Stringere al petto la mia bambolina, la prima volta, è stato come rinascere. La tenevo con cautela, mi sembrava talmente piccola e fragile che temevo potesse rompersi da un momento all’altro. E mentre la guardavo dormire tra le mie braccia, chissà perché, continuava a balenarmi in mente l’idea che in realtà quella che avevo in mano fosse solo una statuina di sabbia bagnata, che avrebbe conservato quella forma favolosa finché fosse rimasta umida, ma poi asciugandosi si sarebbe sgretolata a poco a poco e sarebbe scomparsa sotto i miei occhi impotenti, scivolandomi tra le dita senza che io potessi far niente per evitarlo, e prevedevo il vuoto incolmabile che avrei avuto nelle mie mani, mani che senza di lei non sarebbero mai più state così grandi e forti come in quel momento e che per sorreggermi avevano bisogno di un appiglio, e quell’appiglio era lei, e anche se poteva sembrare che io la stessi tenendo in braccio in realtà era lei, la mia ancora di salvezza. Era Lulu a tenere in vita me, e non viceversa.
La guardavo dormire serena, e per un attimo mi sentivo felice, leggera e in pace con me stessa come mai avrei creduto possibile. Ma un istante dopo, chissà come, i miei pensieri impazzivano, facendomi naufragare nella solita visione della statuina di sabbia o in mille altre allucinazioni che non voglio nemmeno ricordare, e io non riuscivo a fermarli, provavo a controllarli seguendo il ritmo del respiro lieve e regolare di Lulu, camminavo su e giù per la stanza inspirando espirando e tentando di calmarmi… poi lei si svegliava piangendo, la prendevo in braccio e la cullavo, prima dolcemente, ma lei piangeva ancora e io aumentavo il ritmo, la cullavo con più energia e la scuotevo, e lei per tutta risposta strillava sempre di più, sempre più forte, non riuscivo a farla smettere. Allora la ributtavo nella culla, sbattevo la porta. E tornavo a farlo.
Mi facevo, ancora.

Dopo essermi fatta era tutto più facile, mi mettevo a ballare col soffitto e la musica a palla, le gambe mi s’intrecciavano per un po’ e poi pian piano si scioglievano, e quando si erano sciolte del tutto la musica finiva e io me ne tornavo nell’altra stanza, stordita ma contenta, e allora ricominciavo a giocare a far la mamma.

Però quella volta il pianto non cessava, e anzi era un crescendo, arrivava a sovrastare il volume più alto dello stereo ed era davvero insostenibile, talmente forte che m’impediva di danzare. Spalancai la porta, indispettita, mi avvicinai alla culla animata da una rabbia che stentavo a trattenere, e d’istinto la presi in braccio con una furia quasi violenta. Poi vidi il suo visino dolce, e subito mi ammansii: tutta la collera sembrava svanita; si era come dissolta, in un attimo.
La guardavo strillare e restavo lì, impietrita. Ero incantata, estasiata dalla sua straordinaria perfezione; pur se gli occhi strizzati erano ora fessure pressoché invisibili, e il suo minuscolo nasino sembrava quasi un brufoletto, così arricciato dal pianto. Era comunque talmente bella! Con la sua tutina gialla, le gote tonde e piene un po’ arrossate, i pugnetti chiusi e i piedini imbizzarriti… la strinsi al petto e ripresi a cullarla, e mentre la cullavo le mie braccia s’intrecciavano, e io non potevo scioglierle e la stringevo, la stringevo forte forte ma nonostante il mio abbraccio il pianto era sempre più straziante, soffocante, disperato.

La mia bambolina ha smesso di piangere, adesso. Qui dentro ho imparato a cullarla bene, le canto canzoncine e le massaggio il pancino quando ha le colichette. Sono diventata brava anch’io, alla fine. Ormai sono una mamma vera che ha smesso di farsi, con le buone o le cattive non importa, quel che conta è il risultato e stavolta, incredibile ma vero, ho finalmente tagliato il traguardo.

Devo ammetterlo, se ce l’ho fatta devo esser grata a Lulu, alle sue piccole manine, alle sue guanciotte rosa, alla sua boccuccia a forma di cuore, ai suoi piedini sempre irrequieti, al suo sederino liscio liscio e ai suoi grandi occhioni scuri… perché qui dentro ho amato tutto e così tanto, di lei, che un giorno finalmente i miei pensieri hanno smesso di impazzire e sfuggire al mio controllo, e io sono riuscita a chiudere per sempre con tutta quella robaccia che un tempo m’infilavo nelle vene.
Da allora mi sento una donna più vera, sana e consapevole. Completa.
E anche se in fondo al mio cuore sarò sempre, prima di tutto, semplicemente “la mamma di”… oggi tutti hanno imparato chi sono. Sanno dove vivo, come mi chiamo e quello che ho fatto. Lo sanno tutti. Non solo chi vive qui, come me, o chi mi ha conosciuto prima che vi entrassi. Ma anche chi non mi ha mai incontrata né mai mi vedrà, probabilmente, ché qui non ci è mai stato e non ci verrà mai, perché la sua vita è tutta là fuori.

Divento matta, se ci penso. Per qualche tempo ho avuto persino le prime pagine, una bella serie di servizi in TV e le interviste dei migliori giornalisti: il tutto fatto a regola d’arte, con puntuale citazione di nome cognome eccetera… quasi che ce li avessi anch’io, un nome e un cognome!

Me li hanno regalati, alla fine, grazie a Lulu; ma ancora stento a riconoscerli, e forse in fondo non credo che mi appartengano davvero.
Lucrezia avrà nove anni, domani. Alle dieci verrà papà a prendermi in auto, e insieme andremo a trovarla.
Lei e la mamma, con una bambola e un fiore.
Una rosa gialla, come ogni anno.
 
Sabrina Calzia

Altre relazioni possibili contro la violenza sulle donne

Eleonora Cirant (saggista e redattrice di “Cernuscodonna.it”)  e Alessio Miceli (insegnante, Associazione “Maschile Plurale”) presentano i risultati del laboratorio con i ragazzi e le ragazze delle terze media di Cernusco. Interverrnno l’assessora Rita Zecchini e il gruppo Udi Donnedioggi.

Altre relazioni sono possibili  CONTRO LA VIOLENZA sulle DONNE

Mercoledi’ 29 maggio 2013, in Biblioteca, via Cavour, ore 17.30-19.00

Invitiamo i docenti, i ragazzi, i genitori e tutte le persone interessate ad un vero cambiamento nel rapporto tra i generi.
Il seme del rispetto e dell’uguaglianza tra donne e uomini  germoglia con l’educazione dei giovani
L’incontro è organizzato dal Gruppo Udi Donnedioggi e dal Comune di Cernusco
 

Image: 'clavinculo; his manifested intention of becoming a world-famous governor'
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Giovani e sesso, se le porte da aprire sono troppe non avere paura di chiedere!

Giovani e sesso. A Bussero il consultorio diventa young! Con una casella di posta elettronica dedicata ai giovani per dialogare in modo anonimo e riservato con gli operatori. Utile e importante, visto che quasi la metà delle ragazze non utilizza contraccettivi al primo rapporto, secondo la più recente indagine della Società di ginecologia e ostetricia.

Giovani e sesso, se le porte da aprire sono troppe non avere paura di chiedere!

Giovani e sesso. Emerge un dato allarmante dalla ultimissima indagine condotta nel mese di maggio 2013 dalla Società Italiana di Ginecologia ed Ostetricia (Sigo) sulle abitudini sessuali di oltre mille giovani tra i 14 e i 25 anni, presentata Milano il 21 maggio:

il 42% delle under 25 italiane non utilizza nessun metodo contraccettivo durante la prima esperienza sessuale. Di queste, il 24% ricorre al coito interrotto e solo 3 su 10 hanno ricevuto informazioni corrette da medici e insegnanti, il rimanente 70% da fonti non qualificate.

La principale causa di questa impreparazione è la scarsa educazione sessuale ricevuta e possiamo constatare come il quadro sia peggiorato anche soltanto negli ultimi tre anni; infatti rispetto ad un analogo sondaggio effettuato nel 2010 registriamo un 5% in più di giovanissime che affronta la prima esperienza sessuale senza nessuna precauzione, rischiando così di incorrere non solo in una gravidanza indesiderata, ma anche in una o più malattie sessualmente trasmesse.

Cosa offre il nostro territorio?

Presso il Consultorio Adolescenti di Bussero è presente il PUNTO ASCOLTO ADOLESCENTI rivolto ai RAGAZZI E RAGAZZE DAI 14 AI 22 ANNI!!
Di cosa si tratta? Un luogo dove trovare esperti disponibili ad ascoltarci e aiutarci quando ci sono domande a cui non sappiamo trovare una risposta, quando abbiamo un po’ di confusione in testa rispetto a temi importanti come la procreazione consapevole, la contraccezione, le malattie sessualmente trasmissibili, il nostro percorso di crescita in relazione ai cambiamenti puberali, nei momenti in cui niente sembra andare per il verso giusto.
E’ una struttura ad alta integrazione socio- sanitaria con specifica competenza sull’età adolescenziale e interviene nelle aree della salute, delle relazioni affettive e sessuali, della vulnerabilità e disagio adolescenziale attraverso attività di counseling sociale, psicologico, sessuologico e psico- diagnosi / psico- terapia a breve termine, consulenze e visite ginecologiche e infermieristiche.

Non è necessaria la prescrizione del medico curante per accedere ai servizi ed è data priorità ai residenti sul territorio ASL MI2. Le prestazioni rese in ambito socio- sanitario sono gratuite o integrate mediante ticket.

PARLIAMONE!

Ci si può rivolgere individualmente, in coppia o in gruppo in modo gratuito e riservato telefonando al numero verde 800 800 172 o al numero diretto 02- 92.65.47.51/3 per un appuntamento o per avere tutte le informazioni che vi servono oppure scrivendo una mail: 

Il Consultorio diventa Young! una casella di posta elettronica dedicata ai giovani per dialogare in modo anonimo e riservato con gli operatori. Scrivi a consadolescenti@aslmi2.it
Le ragazze e i ragazzi con dubbi, difficoltà, problemi personali o anche una semplice curiosità, possono ora contattare la psicologa,m la ginecologa, l’assistente sociale, l’assistente sanitaria, l’educatrice professionale in modo semplice e immediato!!
Vai alla pagina con orari e indirizzo

Educazione sessuale?

Attualmente nel nostro Paese l’educazione sessuale non è una materia scolastica obbligatoria e questa anomalia, che contraddistingue in negativo l’Italia dal resto d’Europa, viene da tempo denunciata dai professionisti di settore con scarse risposte.
Altro elemento che emerge forte dall’indagine della Sigo e preoccupa molto è il fatto che le giovani italiane non conoscano i benefici della contraccezione orale; non vengono valorizzati i risvolti positivio della pillola sulla regolarità del ciclo, acne e irsutismo, mestruazioni dolorose e/o abbondanti, carenza di ferro nell’organismo e sindrome premestruale. I suoi punti di forza sono l’elevata sicurezza contraccettiva, prossima al 100%, l’alta tollerabilità, il ridottissimo impatto metabolico e la sua totale reversibilità, tutte caratteristiche che la rendono un metodo contraccettivo valido a tutte le età e particolarmente indicato per le giovani. Chiaramente trattandosi di un farmaco la scelta deve rimanere sempre del ginecologo in base alle caratteristiche della donna, ai suoi bisogni contraccettivi ed extracontraccettivi, con particolare attenzione alla composizione del contraccettivo e alle vie di somministrazione. Il suo svantaggio principale è che la pillola contraccettiva non protegge dalle malattie a trasmissione sessuale, in grande diffusione proprio tra le persone adolescenti.

La persona più qualificata per consigliare una giovane, sciogliere tutti i suoi dubbi ed indicarle quale è il metodo contraccettivo più adatto alle proprie esigenze è proprio il ginecologo / la ginecologa. Purtroppo però solo il 20% delle ragazze si rivolge ad una struttura specializzata per chiedere tutte queste informazioni e ciò è in netto contrasto con la necessità che ogni adolescente entrata nella fase della pubertà avrebbe di sottoporsi almeno una volta l’anno ad una visita ginecologica.

È’ perciò fondamentale educare le adolescenti a considerare il ginecologo, uomo o donna, come l’alleato più sicuro per vivere in serenità la loro vita, anche sessuale perché le aiuta a conoscersi e a fare una scelta contraccettiva responsabile e su misura.
 
Silvia Di Pietro
 

Immagine: ? como olvidar tus besos
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Il diritto all'educazione comincia all'asilo

Liste d’attesa, anticipi, mancati indicatori di qualità e riforme sospese. Anna Acampora, educatrice, denuncia i problemi della scuola dell’infanzia, sede primaria e fondante del diritto all’educazione, di cui poco si parla
Occorre riconoscere la frequenza alla scuola dell’infanzia come “diritto all’educazione” (andrà scritto a caratteri cubitali in una nuova legge), con le necessarie coperture finanziarie, con un dignitoso e condiviso progetto culturale che ne metta al sicuro il suo carattere pienamente educativo.

Un pesante silenzio è sceso sull’importanza della scuola dell’infanzia italiana se non per l’assenza di posti e di insegnanti.

Ma portiamo l’attenzione anche sui bambini: dopo gli squilli di tromba degli anni Novanta (con l’impegno sui Nuovi Orientamenti, i progetti di sperimentazione Ascanio ed Alice, le promesse di un riconoscimento definitivo del carattere di “prima scuola”), la scuola dell’infanzia vive con disincanto la stagione della “riforma” avviata con la legge 53/2003.
Oltre ad aver messo all’angolo Orientamenti, quelli del 1991, unanimemente apprezzati, l’unico elemento di novità si presenta come molto discutibile.

Si tratta del doppio anticipo: quello dei bambini di 2 anni e 4 mesi alla “materna”; quello dei bambini di 5 anni e 4 mesi all’elementare. Esclusa dagli esperti e dai pedagogisti, la proposta è diventata troppo in fretta legge (tanto è vero che stenta ad essere applicata) e gli stessi genitori appaiono molto tiepidi nei confronti di tale possibilità.

Comunque, si manifestano differenze fortissime nelle scelte delle famiglie, che sembrano dipendere più da fattori contingenti (l’esistenza o meno di asili nido, la presenza di una scuola materna qualificata, la comparazione dei costi, la vicinanza delle strutture), piuttosto che convinzioni ben maturate a favore dei bisogni “personalizzati” dei propri figli.

Il rischio è che l’anticipo tenti di rispondere a domande sociali reali (come è la richiesta di servizi educativi per i bambini al di sotto dei tre anni), senza effettive garanzie di qualità della risposta che si offre.

Pensiamo ad esempio agli “anticipi” nella materna. Tutto sembra essere lasciato al caso (ci sono posti liberi? Il Comune è d’accordo?) senza un serio ripensamento delle condizioni di accoglienza per bambini di età così delicata. Ad esempio, in fatto di spazi (esistono gli “angoli morbidi?), di tempi di cura per l’autonomia (dall’uso dei bagni ai pasti), di personale adeguato (nei rapporti numerici e nelle competenze).
Sarebbe stato necessario sperimentare seriamente tutto ciò, mentre allo scadere dei tre anni “sperimentali” (2005-06) nulla sta avvenendo, anzi non c’è nemmeno certezza di quanti bambini al di sotto dei tre anni frequentino oggi le scuole dell’infanzia (statali, comunali, paritarie e private). E nessun serio confronto è stato promosso sui modelli organizzativi che consentirebbero di rispondere alla domanda delle famiglie (dai nidi alle sezioni “ponte”-primavera, ai servizi educativi alternativi). La stesso ANCI chiedeva (l’associazione dei Comuni italiani) una seria verifica prima di dare il via libera definitivo all’anticipo.
Anche la “fuga” dei 5enni verso la scuola primaria (ma il fenomeno riguarda solo alcune regioni del Sud) sembra mettere in crisi l’identità pedagogica e la credibilità della scuola per i bambini dai 3 ai 5 anni. Quasi a rimarcare il suo essere “servizio residuale” rispetto al ventaglio di scelte private delle famiglie. Con il paradosso che nelle città del Nord (con tassi di natalità in incremento e immigrazione in espansione) spesso non si è in grado di accogliere le richieste di frequenza, mettendo a rischio un principio che sembrava ormai una conquista irreversibile. Ma si sa, come scrivono candidamente i Ministri nella circolare annuale sugli organici, la scuola dell’infanzia non è obbligatoria, quindi… si tenga le liste d’attesa.
Questa fotografia della “scuola reale” ci dice quali siano le esigenze per la “generalizzazione” e la “qualificazione” della scuola dell’infanzia (belle parole al vento che si trovano nelle leggi). Occorre riconoscere la frequenza alla scuola dell’infanzia come “diritto all’educazione” (andrà scritto a caratteri cubitali in una nuova legge), con le necessarie coperture finanziarie, con un dignitoso e condiviso progetto culturale che ne metta al sicuro il suo carattere pienamente educativo.

Nel frattempo, però, la scuola “militante” non può attendere con le mani in mano il suo futuro “riscatto”. Anche perché una “buona” scuola dell’infanzia già esiste in molte realtà e va “scoperta”, valorizzata, aiutata. Lo Stato, le Regioni (che ora hanno iniziativa legislativa), i Comuni, le Università, le associazioni, devono fare la loro parte.

Occorre che siano garantite, a livello normativo, alcune condizioni per il miglioramento del servizio.
Occorre, in altre parole, che siano finalmente definiti gli indicatori di qualità che devono essere assicurati da tutte le scuole del sistema integrato (quello avviato con la legge 62/2000 sulla parità), in fatto di:

  • standard orari ottimali (es. una fascia di 35-40 ore settimanali);
  • rapporti numerici compatibili con la qualità di buone relazioni educative;
  • garanzia di fasce pregiate di “compresenza” tra i docenti;
  • qualità dell’edilizia, degli ambienti e delle attrezzature;
  • profili professionali del personale educativo e di assistenza.

Siamo convinti che il mancato successo formativo, che tanto ci preoccupa quando “esplode” a 14-15 anni (con disagio, dispersione, scarsa motivazione e cattivi risultati dei nostri adolescenti), si contrasta solo con una scuola di qualità per tutti i bambini, a partire dai 3 anni. Allora, è tanto più necessario che si torni a parlare (nei documenti, nelle proposte, nelle leggi finanziarie) della nostra scuola dell’infanzia.
Insomma, è l’ora di riaprire l’agenda degli impegni concreti, troppo incautamente chiusa dai governanti.
Anna Acampora, educatrice esperta nel campo del sostegno alla genitorialità e nella progettazione in rete dei servizi alla famiglia e della Prima Infanzia. Fondatrice dell’Associazione Eccemamma e dell’Associazione A33-Cernusco sul Naviglio, La Compagnia dell’Orso di Pioltello.
 
 

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Sesso e adolescenti un questionario Aied

L’Associazione Italiana per l’Educazione Demografica propone alle ragazze ed ai ragazzi tra i 13 ed i 19 anni di età un questionario finalizzato ad una migliore conoscenza del comportamento sessuale, degli stili di vita e delle aspirazioni dei giovani d’oggi.

L’obiettivo del questionario è aiutare l’Aied fornire un servizio migliore ai più giovani (per esempio visite specialistiche a basso costo, pillola del giorno dopo e preservativi, consulenza psicologica e sessuologica)

I dati raccolti verranno inoltre comparati con quelli di una indagine analoga realizzata dall’AIED nel 1986 e consentiranno quindi di comprendere meglio come si siano modificati i comportamenti e le aspirazioni dei ragazzi in questi 26 anni.

Il questionario è anonimo!

Clicca qui per compilare il questionario
 

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Il saluto delle donne a Vandana Shiva

Giovedì 16 maggio 2013 Cernusco, la nostra città, ha avuto l’onore di accogliere Vandana Shiva, ambientalista indiana notissima  nel mondo per il suo impegno sulle problematiche ecologiche e sociali dei nostri tempi.
Il suo intervento ha concluso il Convegno sul Progetto ‘Gjusti’ (Green Jobs Università Scuole Territorio Imprese), rivolto ai giovani studenti di alcune Scuole superiori della Martesana. Circa 160 ragazzi si sono impegnati in percorsi didattici, volti a conoscere nuovi profili professionali caratterizzati dalla sostenibilità ambientale e sociale, ed inoltre hanno realizzato progetti specifici coerenti.

Ma, afferma Vandana Shiva, per realizzare la green economy ed il cambiamento profondo di un’economia che finora ha aumentato le disparità sociali e rischia di distruggere il pianeta, sono necessari l’empatia tra esseri umani e natura, il rispetto della Terra, come alleata di uomini e donne nella loro vita quotidiana.

In questo contesto, le donne di due associazioni, il Gruppo UDI ‘Donnedioggi’- Cernusco e Martesana, e la L.U.D. (Libera Università delle Donne) hanno espresso a Vandana Shiva l’ammirazione e la riconoscenza per il lavoro che sta svolgendo da moltissimi  anni, sia per salvaguardare la Terra, sia per migliorare le condizioni e la considerazione delle donne di tutto il mondo.

L’ambientalista si è spesa infatti contro la logica patriarcale dell’esclusione e ha vinto il prestigioso premio Right Livelihood Award per “aver collocato le donne e l’ecologia al centro del discorso sullo sviluppo”.

L’incontro si è concluso con la rinnovata fiducia a Vandana Shiva e al suo carisma, capace di influenzare scelte che garantiscano equità e dignità alle donne, indispensabili al progresso di qualsiasi società.


Vandana Shiva a Cernusco il 16 maggio 2013

Quando la rabbia non è accolta

Vi presento Simonetta, trentasei anni, assistente del direttore di una multinazionale. Si mostra sicura di sé, autonoma e competente nell’ambito lavorativo. Due mesi fa è stata lasciata da Carlo, il compagno con cui stava da due anni, e da quel momento piange, si dispera, non ha più interesse per nulla, ma non riesce a provare rabbia.
Simonetta si sente sola, terribilmente e completamente sola.
Primogenita di due figli, è rimasta orfana all’età di vent’anni a seguito di un fatale incidente stradale e successivamente, come esito di incomprensioni, il fratello ha interrotto qualsiasi tipo di contatto con lei.
Sin dal primo colloquio Simonetta appare come molto impegnata a dimostrare a se stessa e al resto del mondo, quanto sia una persona vincente, quanto la sua autostima sia alta, per poi in realtà scoprire, non appena riesca minimamente ad entrare in contatto con se stessa, come tutta l’impalcatura possa crollare da un momento all’altro.

L’ emozione della rabbia, in una donna come Simonetta, sembra quasi sconosciuta, eppure di motivi per provarne ne avrebbe.

Racconta di come da piccola di fronte ai litigi dei suoi genitori e del fratello, lei tentasse sempre di amplificare la sua allegria. Un giorno però stanca di tutte le tensioni si mise su una sedia a guardare la televisione “con il muso lungo” e subito il nonno le disse: “Non avrai il broncio anche tu oggi?”

“Da lì ho capito che non andava bene arrabbiarsi, perché se no non sei accettata e ho ripreso subito a fare l’allegra” – afferma Simonetta.

Dalle sue parole emerge come centrale la tematica del controllo delle emozioni, per esempio la rabbia è controllata, per il timore di perdere gli affetti e rimanere sole.
Un prezzo caro da pagare per riuscire a non essere mai sola, rinunciare al riconoscimento dei propri bisogni. Talvolta la rabbia, il conflitto generano timore, imbarazzo, vergogna. In donne come Simonetta il conflitto è sempre connotato negativamente, da evitare e nascondere.

Simonetta è un invito a riflettere sui propri ‘pregiudizi’ intorno al tema della rabbia e del conflitto; pregiudizi intesi come pensieri, idee, apprendimenti, valori, vissuti… che accompagnano questi temi.

Prendendone consapevolezza è possibile intraprendere una via per il cambiamento che possa aprire altri sguardi che vedano la rabbia e il conflitto da una diversa prospettiva.
Chiara Bertonati, psicologa e psicoterapeuta, Sportello donna Cernusco s/N

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