Donne senza figli, un libro

Donne senza figli, un libro

Ho preso in mano questo libro con interesse e sono arrivata all’ultimo capitolo con interesse inalterato: esperienza che non capita sempre, in particolare se si tratta di un saggio. E saggio questo testo lo è, non solo per il genere cui appartiene, ma per quanto vi si può trovare di riflessione introspettiva e utile per la vita, per la sua capacità di porre domande significative che avviano a un percorso di cui si può anche non intravedere la fine. Le risposte non sono tutto.

Cosa mi ha spinto a comprare questo libro, non appena è uscito? Il tema trattato, ovviamente, anche la conoscenza dell’autrice, ma soprattutto la voglia di cercare un confronto su una questione che ancora mi interroga, nonostante si sia chiusa per me la possibilità di scegliere la maternità: l’orologio biologico è scattato da un pezzo.

Eleonora Cirant dichiara nel capitolo finale di essere partita da un essenziale presupposto: “il personale è politico”. Potrà forse risuonare come un mantra per chi, come me, ha creduto nel femminismo, o essere un fastidioso slogan fuori moda per altri; una cosa è certa, coniato nei lontani anni ’70, conserva una sua indiscussa verità. Assumere questo punto di vista ha permesso all’autrice di usare un metodo efficace di ricerca, le ha consentito di affrontare la complessità del tema, con un esito a mio parere mai superficiale, mai astratto, ma “leggero” e profondo insieme, sapiente, cioè saggio, come ho già detto. Scrive Eleonora : “Scoprire che il personale è politico mi ha costretto a smontare le categorie di giudizio. Ha illuminato zone d’ombra. Mi ha spinto a riaprire i libri di storia e di filosofia e a rileggerli da un altro punto di vista. Mi ha offerto una chiave di lettura per decodificare il sapere, la lingua, le immagini, le abitudini, le situazioni …”. Potenza di uno slogan.

Nel libro si indagano le scelte di una generazione di donne, quella tra i trenta e i quaranta anni, non segnata da una presenza forte del movimento femminista, che dà per scontate opzioni impensabili trenta anni fa, che sperimenta il precariato come condizione esistenziale. Ne risulta un testo “cresciuto con un occhio alla pratica e uno alla teoria”, come si spiega nell’introduzione. Il lavoro che è stato fatto è davvero serio, come emerge anche dalle citazioni e dai riferimenti bibliografici di tutto rispetto.

Accanto ai concetti espressi da psicanaliste, sociologhe, letterate e saggiste, trovano una collocazione importante le testimonianze di donne comuni che riflettono nel “cerchio delle amiche” e raccontano le diverse emozioni ed esperienze. Confesso che mi ha fatto piacere sapere che la giovane autrice si presenta come femminista e non solo quando intende provocare una reazione, come racconta nello spiritoso capitolo” Soft-femminismo” che chiude il libro e che, sarò di parte, mi sembra dare un significato pregnante a tutte le altre pagine.

L’interesse con cui ho letto le storie di queste giovani donne, nasceva anche dal desiderio di confrontarmi con la generazione del post-femminismo. Forse ero ansiosa di costatare che non tutto è andato perduto, anche se cosciente della loro libertà di scoprire strade nuove, magari discordanti da quelle che noi avevamo trovato, di maturare convinzioni differenti. Le nostre affermavano la possibilità di non identificarci come donne nel ruolo monolitico materno, riflettevano il bisogno di aprire le porte al conflitto ridiscutendo ruoli e destini scritti da altri per noi, esprimevano la necessità di smontare pregiudizi e retoriche. Mi sono riferita più volte al capitolo sul femminismo, non entro nei contenuti delle altre parti del libro, aggiungo solo che nessun aspetto è stato trascurato.

La ricerca si è avvalsa di dati statistici aggiornati, ma non si è soffermata troppo sui numeri, si è occupata di indagare le scelte di queste donne a partire dall’analisi del desiderio di maternità, quello ambivalente e quello inappagato, nel continuo confronto con le condizioni reali del vivere: soldi, casa, lavoro, senza ignorare condizionamenti, tabù e conflitti. Ho apprezzato l’ironia e la vivacità del linguaggio, il ricorso a metafore inedite, i rari e divertenti consigli, il coraggio nell’affrontare le ombre. Mi sono piaciuti la dedica e il ringraziamento dell’autrice ai suoi genitori.

Ho trovato molti aspetti positivi in questo libro, forse manca quell’organicità che qualcuno potrebbe aspettarsi da un piccolo trattato, ma mi ha convinto soprattutto la capacità di dire con libertà l’indicibile, di svelare le ombre, di denunciare i luoghi comuni. In una pagina Eleonora Cirant dichiara di aver voluto dare “… un piccolo contributo alla causa per abolire la maternità come ideologia e istituzione e a favore della maternità come esperimento”. Se questo era l’intento, mi sembra riuscito.

Credo che la lettura di questo libro, a dispetto del titolo apparentemente scoraggiante, “Una su cinque non lo fa”, possa essere utile alle donne che invece lo vogliono fare in modo consapevole. Mettere a fuoco le strettoie tra libertà e costrizione, ragionare insieme sul valore e il senso, aiuta la scelta, qualunque essa sia.

Rosaura Galbiati

28 giugno 2012