La pagina curata per cernuscodonna.it dalla biblioteca civica di Cernusco è dedicata ad Antonia Pozzi. E’ una delle più grandi poetesse italiane del ‘900 Antonia Pozzi, ma ha dovuto aspettare decenni perché i suoi versi fossero conosciuti e per poter godere del giusto riconoscimento umano e artistico.
Niente si fa con i se, ma probabilmente la sua veloce e triste parabola personale avrebbe avuto esito diverso se Antonia fosse vissuta qualche decennio dopo, in anni in cui una donna avrebbe avuto minori difficoltà a far sentire la sua voce, dove avrebbe potuto contare su una situazione politica e sociale diversa e soprattutto un’inedita sorellanza culturale e personale.
Sono appena terminati i festeggiamenti tenuti per un’intera settimana al Teatro Franco Parenti, con convegni, uno spettacolo teatrale, una mostra fotografica e la proiezione del film ‘Poesia che mi guardi’, di Marina Spada, disponibile presso la biblioteca civica insieme alle opere di e su Antonia Pozzi, di cui offriamo un breve ritratto.
Nata nel 1912 a Milano, in una famiglia borghese meneghina, fu allevata nella bella casa di via Mascheroni, anche se il suo vero nido fu la casa di villeggiatura a Pasturo, in Valsassina. All’ombra delle Grigne nacque la sua passione per la natura e le montagne, che tanto hanno dato ai suoi versi.
Iscritta al Liceo Manzoni, nel 1927 conobbe Antonio Maria Cervi, suo professore, con cui visse un amore potente e dolente, contrastato e ostacolato con ogni mezzo dal padre, uomo rigido e autoritario. Per questo già a 19 anni, cercò il suicidio con barbiturici, cavandosela con una lavanda gastrica.
Iscritta nel 1930 alla Facoltà di Lettere dell’Università Statale di Milano, entrò nell’ambiente che faceva riferimento al filosofo Antonio Banfi. Diventò amica del poeta Vittorio Sereni, di Dino Formaggio, della famiglia Treves e di Remo Cantoni. Purtroppo anche in questo contesto non riuscì a trovare spazio per i suoi sentimenti, sempre non capiti o rifiutati, e per la sua passione poetica. Tutti questi giovani intellettuali, sebbene all’avanguardia nel pensiero non solo si impaurirono di fronte alla sua sensibilità umana e non capirono la profondità e la bellezza dei suoi versi, ma soprattutto la frustrarono nel suo profondo desiderio di essere poeta. La poesia per loro era cosa da maschi, meglio se impegnata socialmente. Mentre quella di Antonia era una poesia direttamente esistenziale e naturalistica, di un umore simile a quella di Sylvia Plath e Marina Cvetaeva, solo per fare qualche nome tra i più alti del novecento.
Non che fosse insensibile a ciò che le succedeva attorno, in quegli anni di egemonia sociale e culturale fascista e di preparazione alla tragedia bellica. La sua attenzione, testimoniata da alcune poesie e dalle sue tante fotografie, per i più poveri e gli umili non era politica, ma umana e spirituale. Un’attenzione che era anche uno scontro duro con le origini e la sensibilità della famiglia, soprattutto del padre.
Si laurea nel 1935 con una tesi su Flaubert e nel ‘37 inizia a insegnare all’Istituto Tecnico Schiapparelli. Ma soprattutto finalmente sceglie la poesia come destino e vocazione solitaria.
La sua irrequietezza personale sfociò in atteggiamenti per lei non usulai, come il fumo, le uscite serali, la patente, i viaggi all’estero. Voleva scrivere un romanzo storico sulla Lombardia (preparato con un accurato lavoro fotografico), ma non ci riuscì. E un’altra feroce delusione era alle porte: si innamorò di un suo compagno di studi, Dino Formaggio. Ma anche quest’uomo, per la sua estrazione sociale non era gradito ai genitori e ciò portò la ragazza a ulteriori discussioni col padre, invocando la propria indipendenza personale e culturale. Cominciò a infervorarsi sull’ingiustizia sociale e contro la situazione politica (stavano arrivando le leggi razziali). Il ragazzo, poi, si mostrava incerto, e ciò fece precipitare la situazione.
L’1 dicembre 1938 andò a un concerto alla Società del Quartetto insieme a Formaggio e ai loro amici. Al termine della serata volle rientrare a casa da sola. La mattina seguente, a scuola, interruppe la lezione e tornò a casa dove prese la sua bicicletta. Recatasi a Chiaravalle, ingerì un forte quantitativo di barbiturici. Quindi si sdraiò sul prato. Il pomeriggio un contadino la trovò agonizzante e semi assiderata. Trasportata al Policlinico vi morì la sera del 3 dicembre: fu seppellita, secondo la sua volontà a Pasturo.
La sua scomparsa, però, non pose fine ai torti subiti. Il padre, infatti, censurò gli scritti della figlia, compreso il suo testamento, e li rimaneggiò per una pubblicazione privata del 1939. Questa edizione uscì da Mondadori rivista e ampliata nel 1943 con la prefazione di Montale, secondo cui Antonia Pozzi è stata la più grande poetessa italiana del ‘900.
Ma è stato grazie al lavoro preciso e puntuale di una suora, Onorina Dino, che si è potuto venire finalmente a conoscere dal 1974 in poi la vera opera di Antonia, nei suoi versi, lettere e diari. E sempre di più queste parole sono diventate patrimonio personale di molti, semplici amanti dei versi o studiosi.
Per saperne di più: http://www.antoniapozzi.it/
A cura della biblioteca di Cernusco sul Naviglio