La ricerca della felicità nella lettura di Jeanette Winterson

La ricerca della felicità nella lettura di Jeanette Winterson

Ci sono titoli che, oltre che belli, sono anche cartine al tornasole. Uno di questi è Perché essere felice quando puoi essere normale?, l’ultimo libro di Jeanette Winterson (Mondadori 2012). Titoli che fanno sentire subito in sintonia o, al contrario, ti indispongono. Il punto di domanda chiede di prendere posizione, non solo verso le pagine, ma anche e soprattutto su se stessi .

Che significa essere felici? E essere normali? Le due cose possono andare in parallelo? Comunque la ‘pensiate di pensarla’ per l’autrice le due cose non vanno assieme, per lei non è esistita una ‘normale felicità’ e neppure una ‘felice normalità’.

Il libro in questione è una biografia narrata, che ‘esplicita’ temi e vicende romanzate nei suoi libri, e soprattutto nel suo fortunato esordio del 1985 ‘Non ci sono solo le arance’, grande successo di pubblico, vincitore di premi e trasformato in un serial televisivo, premiato anch’esso.

Jeanette è stata abbandonata dalla sua madre biologica e adottata da una famiglia composta da un padre indifferente e annichilito da una moglie bigotta, esagerata e a volte feroce. La sua infanzia, dopo i tentativi fatti, come ogni figlia/o per adeguarsi alla ricerca dell’amore materno, diventa una lotta per affermare se stessa.

Uno dei primi mezzi per liberarsi sono i libri, nascosti sotto il cuscino, letti alla luce di una torcia elettrica nelle notti passate sui gradini fuori casa o nella carbonaia, relegata dai castighi della madre, che una volta scoperti li da alle fiamme. Libri presi in biblioteca, che per la Winterson è “il luogo dov’ero stata più felice” (cosa vi succede quando, scorrendo le pagine, vi trovate di fronte a una frase che vi ‘racconta’ così chiaramente?), dove il metodo Dewey rappresenta per lei un momento di ordine e sicurezza a cui appigliarsi. Una voracità di lettura, che più tardi diventerà necessità di scrittura.

Credo nei racconti e nel potere delle storie perché ci permettono di parlare una lingua sconosciuta. Non veniamo ridotti al silenzio… Io avevo bisogno delle parole perché le famiglie infelici sono cospirazioni di silenzio.”

Il secondo potente mezzo per liberarsi e conoscersi è la passione amorosa, rivolta da Jeanette verso il proprio sesso, cosa che attirerà le ire non solo della madre, ma anche di parte della comunità (non di tutta). Tutto ciò le darà la forza di andarsene presto di casa, prima vivendo in una scassata Mini presa in prestito e poi andando al college a Oxford.

Nel racconto vi è poi uno iato di decenni fino ad arrivare a una Jeanette adulta scrittrice affermata, che si sente pronta a cercare la propria famiglia naturale. Arrivando a una specie di happy end, sorprendente e ambivalente come succede nella ‘vita vera’ e che fornisce la forza per redimere le sofferenze passate. Cosa sarebbe stato senza di esse, cosa ne sarebbe di quelle parti di sé di cui ora va orgogliosa?

Cercare la felicità, io l’ho fatto, e lo faccio tutt’ora, non equivale a essere felici… quello che cerchi è il significato… ci saranno volte in cui andrà così male che sopravviverai a malapena e volte in cui capirai che sopravvivere a malapena secondo i tuoi parametri è meglio che vivere una pomposa vita a metà secondo i parametri degli altri.”

La Biblioteca pubblica di Cernusco S/N