Donne ai vertici nel mondo del lavoro? In Italia qualcosa si muove ma la parità di genere è ancora un miraggio

Donne ai vertici nel mondo del lavoro? In Italia qualcosa si muove ma la parità di genere è ancora un miraggio

Forse non in tanti si ricordano che nel 2011, quando ancora al governo c’era Silvio Berlusconi, fu approvata una legge (120/2011, cosiddetta Golfo-Mosca) che introduceva le quote di genere nei consigli di amministrazione. Appena entrata in vigore si accese una discussione su i favorevoli e i contrari. Ma a distanza di sette anni si può fare un bilancio sugli effetti per la carriera delle donne?
Un primo dato può spiegare bene quanto ha inciso la Golfo-Mosca: nel 2008 le donne che sedevano nei consigli di amministrazione erano 170, il 5,9% del totale delle poltrone. Otto anni dopo, nel 2016, il numero è salito a 687, il 30,3% del totale (dati Openpolis).
Tuttavia è importante non fermarsi al freddo numero ma analizzare cosa c’è dietro. In primo luogo è necessario sottolineare che la legge prevede un obbligo di quote di genere dal primo rinnovo del cda e per tre mandati consecutivi; dal quarto decade l’obbligo. Un punto voluto da chi ha scritto la legge con un obiettivo preciso: generare un cambiamento di mentalità nel mondo del lavoro italiano tale da, in un futuro non troppo lontano, non dover più obbligare per legge delle quote di genere. Solo tra qualche anno, quando le società entreranno nella fase del quarto rinnovo, si potrà scoprire i reali effetti di questa legge.
Ma c’è un altro dato da analizzare: Se è vero che sono aumentate le donne nei consigli di amministrazione è altrettanto vero che solo pochissime di queste hanno dei ruoli rilevanti. Sono solo 17, infatti, le donne le amministratrice delegate; il 2,5% degli incarichi femminili. In conclusione si può quindi affermare che la 120/2011 è stata una legge necessaria per smuovere l’immobilismo del mondo del lavoro italiano ma che è solo il primo passo per arrivare alla parità di genere.