Il nostro cervello è plastico, ha la capacità di essere modellato, plasmato dall’esperienza. Se è vero che la plasticità del cervello è massima nei primi anni di vita, è altrettanto vero che per tutto l’arco della nostra esistenza le esperienze che facciamo modificheranno la struttura fisica del cervello. I neuroni, le nostre cellule celebrali, entrano in uno stato di eccitazione elettrica ogni qual volta viviamo una nuova esperienza.
Il nostro cervello è plastico, ha la capacità di essere modellato, plasmato dall’esperienza. Se è vero che la plasticità del cervello è massima nei primi anni di vita, è altrettanto vero che per tutto l’arco della nostra esistenza le esperienze che facciamo modificheranno la struttura fisica del cervello. I neuroni, le nostre cellule celebrali, entrano in uno stato di eccitazione elettrica ogni qual volta viviamo una nuova esperienza.
Ogni neurone del nostro cervello ha diecimila connessioni con altri neuroni, determinando quindi l’attivazione di determinati circuiti cerebrali che influenzano la natura della nostra attività mentale, della percezione uditiva e visiva e del ragionamento.
La neurobiologia ci mostra quindi una scoperta molto rassicurante: non siamo destinati a restare prigionieri a vita del modo di funzionare del nostro cervello.
Nuove esperienze creano, infatti, nuovi collegamenti tra i neuroni che si attivano contemporaneamente, creando nel tempo una riorganizzazione delle connessioni delle connessioni cerebrali, un vero e proprio ricablaggio del cervello. Ovviamente, molto importante è il tipo di esperienza che facciamo: se passiamo ore davanti alla tv o ad uno schermo si creerà un certo tipo di connessioni nel cervello, la lettura e le attività didattiche ne creeranno altre, lo sport e la musica altre ancora, il tempo speso nelle relazioni o in natura plasmeranno il cervello in modi ancora diversi.
La struttura del nostro cervello è molto complessa, esso è infatti composto di molte parti diverse , ciascuna delle quali svolge un compito differente dalle altre.
Esperienze differenti e stimolanti permettono la creazione di connessioni fra le diverse parti del cervello, che lavoreranno insieme in una maggiore sintonia e ci permetteranno di mettere pienamente a frutto le nostre risorse e strategie mentali.
Un cervello integrato favorisce un potenziamento delle capacità decisionali, una migliore consapevolezza e gestione dei vissuti del corpo e delle emozioni, una maggiore comprensione di se stessi, relazioni interpersonali più forti e migliori rendimenti accademici o lavorativi.
Prendiamo ad esempio la suddivisione tra i due emisferi del cervello: l’emisfero destro e l’emisfero sinistro. I due emisferi sono separai dal punto di vista anatomico e funzionano in modo molto diverso. Destro e sinistro sono uniti tra loro dal corpo calloso, che si colloca tra i due emisferi cerebrali e permette che tra loro ci sia uno scambio di informazioni.
L’emisfero sinistro ama l’ordine, è logico, letterale, linguistico, lineare, si concentra sul testo. L’emisfero sinistro preferisce la comunicazione verbale e presta molta attenzione alle parole che vengono utilizzate.
L’emisfero destro è olistico, non si interessa ai dettagli ma al quadro d’insieme, al senso e all’impressione generale di un’esperienza, si concentra sul contesto. L’emisfero destro preferisce una comunicazione non verbale, presta molta attenzione alle espressioni facciali, al contatto visivo, al tono di voce, alla postura e gestualità. È specializzato nelle immagini, nelle emozioni, nei ricordi personali e nelle sensazioni viscerali, “di pancia”.
In termini di sviluppo, nei primi tre anni di vita è predominante l’emisfero destro. I bambini di questa età vivono completamente nel momento presente, si perdono nelle emozioni e nelle sensazioni, la logica, la responsabilità e il senso del tempo non esistono ancora per loro.
Quando inizia la fase dei “perché”, quando i bambini iniziano ad incuriosirsi sui rapporti causa-effetto all’origine degli eventi, significherà che l’emisfero sinistro sta iniziando piano piano a prendere più spazio. È per questo motivo inutile spiegare ad un bambino molto piccolo solo le ragioni logiche e razionali per cui non dovrebbe arrabbiarsi e disperarsi se non ha ricevuto il gelato. Sarà invece molto più utile connetterci emotivamente con lui, consolarlo, placare le sue emozioni (attraverso il contatto, per esempio) e, solo successivamente, rassicurare con parole semplici, provare a rispecchiare e mettere in parole il vissuto del bambino (“ti sei arrabbiato molto, ci tenevi molto a questo gelato?”), spiegare cosa è accaduto e proporre una nuova soluzione.
Quando qualcuno è in preda alle emozioni, l’emisfero destro sta controllando tutto il funzionamento del cervello. Se vogliamo aiutare quella persona a placarsi e gestire al meglio la situazione, dobbiamo prima connetterci a lei entrando in un contatto emotivo, da emisfero destro a emisfero destro. La logica spesso non serve finché non abbiamo dato risposta ai bisogni emozionali dell’emisfero destro del cervello. Successivamente possiamo aiutare la persona a integrare il vissuto attraverso la narrazione di ciò che ha vissuto.
Imparare a parlare delle proprie emozioni e raccontare i vissuti più faticosi permette di rendere più innocue le emozioni traumatiche e spaventose presenti nell’emisfero destro, affinché possano sopraffare sempre meno. Chiamando in causa l’emisfero sinistro, che racconta i fatti e i dettagli dell’accaduto, l’evento traumatico può infatti divenire più comprensibile, più tangibile e quindi più controllabile.
Noemi Sirtori