Assegno scoperto cosa fare

Vorrei avere un consiglio circa una problematica economica. Lavoro come sarta e mi hanno pagato con un assegno ma quando l’ho versato in banca è risultato scoperto. Cosa posso fare?

Gentilissima Signora,
dovrà recarsi presso un legale di fiducia, il quale, entro i sei mesi dall’emissione dell’assegno bancario, provvederà a predisporre e notificare al debitore il c.d. atto di precetto, intimando a quest’ultimo di pagare il dovuto (capitale, interessi e spese) entro dieci giorni. Decorso tale termine si potrà procedere con l’azione esecutiva ritenuta più efficace ovvero pignoramento presso terzi, immobiliare o mobiliare.
Cordiali saluti
Avv. D.M. Sportello Donna Cernusco s.N.
 
 

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Dopo l incontro con la scienziata e senatrice Elena Cattaneo

Quando abbiamo invitato la scienziata neo senatrice Elena Cattaneo a raccontarci la sua esperienza di donna scienziata e ora anche di parlamentare, non ci aspettavamo un incontro come quello che ci ha regalato venerdì scorso, 15 novembre, alla Vecchia Filanda.
Armata del suo portatile, ha tenuto una vera e propria lezione sui vari aspetti della ricerca scientifica, fatta di passione, di umiltà, di etica rigorosa e addentrandosi persino nella specifica ricerca che il suo gruppo conduce da anni sulle cellule staminali, con la finalità di sconfiggere il morbo di Huntington.
La chiarezza del suo linguaggio ha reso comprensibile al pubblico della sala l’importanza della conoscenza scientifica, mai separata da quella umanistica, e la necessità di pretendere dalla politica un grande impegno verso la cultura in generale e verso la ricerca scientifica in particolare, che vuol dire benefici per l’umanità.
Con molta semplicità e ironia ha raccontato gli emozionanti incontri al Quirinale e la sua nomina a senatrice a vita che vuole sfruttare per portare anche in Senato lo spirito e il valore della ricerca, raccogliendo con orgoglio il testimone che fu di Rita Levi Montalcini
Interessanti gli interventi delle altre due relatrici: Liliana Moro, ricercatrice storica di Donne e Scienza, che ha sottolineato i pregiudizi in tutti i tempi nei riguardi delle donne, in campo scientifico; e Valeria Sordi, volto noto a Cernusco in quanto Presidente dell’associazione EcceMamma e ricercatrice altrettanto appassionata che riesce a coniugare le varie attività e la cura della famiglia, sorretta da una grande determinazione.
Gruppo UDI Donnedioggi di Cernusco sul naviglio e Martesana
 

Valeria Sordi, Liliana Moro, Ernestina Galimberti, Elena Cattaneo

Valeria Sordi, Liliana Moro, Ernestina Galimberti, Elena Cattaneo

Foto: UDI Donnedioggi

E lee la va in filanda, il video

Video sulla serata di presentazione del libro di Serena Peregodi E lee la va in filanda, una ricerca storica  sulle giovani donne e bambine nelle filande di Cernusco s/N tra ‘800 e ‘900. Durante la serata sono intervenute, oltre a  Serena Perego, anche Mara Caligiuri, autrice del video Il filo femminile della memoria che presenta testimonianze di donne anziane che lavorarono in filanda, Ernestina Galimberti, del gruppo UDI di Cernusco, Rita Zecchini, assessora pari opportunità. Letture di Gaia Formenti.
Le presentazione si è svolta l’8 marzo 2013 presso la biblioteca pubblica.

 

Immagine del post: www.asscolombera.it/progetti/filande/gruppo3.htm

Lavorare con la sofferenza

Una riflessione sulle professioni di aiuto, di Silvia di Pietro. Come evitare il born out e come non farsi assorbire dalla sofferenza di chi stiamo aiutando.

Parlando con una amica che, proprio come me, si sta avvicinando alla fine del percorso universitario per essere proiettata in un futuro ad una professione di aiuto, mi dice del suo timore, la sua quasi reticenza (a mio parere più che giustificata) nei confronti della sofferenza e della prospettiva di una vita professionale accanto a chi nel dolore ci vive tutti i giorni, spesso senza troppe vie d’uscita.

Dico giustificata perché personalmente non credo a chi si è convinto di essere pronto a tutto, a chi dice di sapere già come affrontare qualunque situazione senza aver provato a riflettere nemmeno un attimo su quello che è il vero nocciolo del problema e non credo nemmeno a chi già si pensa assistente sociale, educatore, psicologo, mediatore e terapista tutto in una stessa persona ma non ha ancora sviluppato la più grande capacità che un operatore sociale possa avere: l’ascolto.

Tutte le professioni di aiuto implicano l’incontro con una persona sofferente in modo più o meno importante. L’incontro con l’altro è perciò un incontro con un altro fragile, bisognoso di cura e di attenzione, a volte malato, a disagio, in condizioni di inferiorità sociale, economica, fisica o di non autonomia. L’incontro con l’altro che soffre ci riporta alla nostra realtà psicologica personale e familiare, sia attuale che passata, e ci obbliga a considerare due elementi fondamentali: chi è il curante e perché ha scelto quella professione e come può fare il curante ad affrontare la sofferenza senza esserne travolto.

Il primo elemento ci spinge ad una riflessione, che è opportuno fare sempre nel nostro percorso, sulla storia personale di questa scelta. Come è nata l’idea di questa professione, cosa pensavo di fare, cosa poi ho fatto e ancora quali erano le mie aspettative, quali sono ora le mie condizioni, cosa mi aspetto dal mio lavoro, cosa mi piacerebbe che accadesse per migliorarlo, o meglio ho voglia di cambiare? Sono domande che non possono esaurirsi il giorno dopo la laurea e che ci servono a calibrare giorno dopo giorno il focus del nostro lavoro ed evitare di fossilizzarci su determinati aspetti tralasciandone altri.

Queste sono solo alcune tra le infinite domande che a volte si  pongono i curanti. Può anche capitare che il/la curante non sia consapevole delle ragioni profonde della sua scelta professionale e allora un eventuale malessere sarà proiettato all’esterno di sé con una operazione difensiva “classica” ma piena di pericoli. Tutti i meccanismi di difesa infatti hanno funzioni temporanee e se non sopravviene una modifica del proprio sé l’io è “costretto” ad aumentare l’intensità di tali meccanismi difensivi o di aggiungerne altri a quelli in uso con conseguente e probabile rottura dell’equilibrio psicologico.

Il secondo elemento ci conduce invece sul tema dei contenuti della professione. Ho deciso di fare questo lavoro, sono consapevole (o non sono consapevole) delle ragioni inconsce che mi hanno portato a questa attività ma ho delle domande, mi chiedo delle cose, oppure sono infastidito o stanco. Mi chiedo cosa posso fare per migliorare la mia professionalità, affrontare meglio il mio lavoro, il rapporto con i miei pazienti, vivere più serenamente la quotidianità.

Esiste poi un terzo elemento che complica le professioni di aiuto: si tratta di una dimensione  inconscia che spinge a strutturare il proprio lavoro in un modo piuttosto che un altro. La mia organizzazione  appare “razionale” ma comporta dei costi umani, delle sofferenze dei pazienti che io attribuisco alle necessità organizzative. Purtroppo le risorse sono quelle, gli orari sono quelli, la struttura è quella, e così di seguito.

Ma è proprio così?
Talvolta tali razionalizzazioni rispondono a un bisogno di difesa dall’ansia persecutoria e depressiva. E così accumulando si arriva ad una condizione chiamata “burn out”.  Burn out è un termine inglese che vuol dire tagliato fuori e che noi possiamo tradurre con : crisi, incapacità, mancanza di voglia, mancanza di iniziativa, depressione, pianto, voglia di cambiare, desiderio di essere aiutato, incapace di svolgere il proprio lavoro.

Cosa può rappresentare allora il nostro “salvagente” a cui aggrapparci quando ci sentiamo persi?

•    La formazione continua esterna, ma anche personale dell’ interessarsi, incuriosirsi, scoprire. La formazione come guida verso un percorso di cura di sé, in cui imparare ad osservarsi per capire quali sono di volta in volta i propri punti di forza e quelli di debolezza, e dove si impari a tracciare confini precisi fra il tempo in cui si può essere disponibili e quello in cui ci si mette da parte per prendersi cura di sé.
•    La supervisione di gruppo o individuale che ci permette di esternare quel mondo che anche involontariamente assorbiamo dai racconti delle persone , dai loro occhi, dalle loro case e che ci portiamo dentro. A volte sentiamo il bisogno di raccontare a nostra volta e la supervisione serve proprio ad avere uno spazio dove potersi confrontare con altre competenze e altre prospettive e dove sentirsi ascoltati. La fatica del lavoro di cura si fa insostenibile quando le difficoltà e le sofferenze si sedimentano dentro di noi senza che si abbia il tempo di pensare con altri la propria esperienza. Prima che la fatica arrivi ad un punto tale da impedire un agire sensato, occorre poter sospendere il proprio fare e mettersi in ascolto della realtà alla ricerca di nuove configurazioni di senso.

Anche nelle vite spezzate dove sembra non ci sia una strada del ritorno la forza è proprio nel riuscire a trovare una via secondaria, magari nascosta a prima vista, ma possibile. La via del vivere bene nonostante la sofferenza o imparando da essa.

La fiducia nel cambiamento e nella possibilità può essere agita anche di fronte alle situazioni che si presentano come i compiti più ardui. Mission impossibile? Chissà, l’importante è impegnarsi a trovare uno spiraglio laddove regna il buio, cercare il bandolo della matassa e iniziare a districarla.

La vera missione è trovare la giusta misura tra il distacco professionale e l’empatia cioè la capacità di co-sentire il vissuto dell’altro che è risorsa irrinunciabile, ma occorre imparare a gestirla, cioè sviluppare quella competenza dell’empatia che consiste nel custodire dentro di sé lo spazio di accoglimento dell’altro.

“ Niente ci rende così grandi, quanto un grande dolore “ diceva Alfred de Musset.
Concordi o meno con il poeta, sarebbe magnifico riuscire a compiere la nostra minuscola parte nel promuovere anche un lieve cambiamento nella sofferenza e non restare più a guardarla impauriti.

Silvia Di Pietro
 

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Identità a termine

L’intreccio tra identità e lavoro è al centro di questo articolo inviato a cernuscodonna.it da Silvia Di Pietro, cittadina di Bussero e socia di InFormazione

IDENTITA’ A TERMINE

 Un futuro solido. È questo ciò che manca, ciò che viene negato costantemente a NOI giovani. E quando dico noi mi riferisco a chi studia sperando che l’ansia per gli esami e quelle nozioni accademiche possano servire un giorno a qualcosa, mi riferisco a chi ha lasciato gli studi dalle superiori per poi rendersi conto di aver commesso uno sbaglio e ha avuto la forza di ritornare sui suoi passi, mi riferisco anche a chi lavora e per arrivare ad uno stipendio deve dividersi in mille… almeno avesse il dono dell’ubiquità!!!

Certo, c’è chi riesce ad affermarsi, a costruire qualcosa di concreto, ma quanti sono in realtà?

Ogni giorno ci viene detto “Don’t be choosy”, ci viene chiesto di adattarci a qualunque condizione, senza badare se “questo o quello” è ciò che fa per noi. Ci viene detto che bisogna fare la gavetta, perché “ci sono passati tutti” ma questa gavetta per noi può durare una vita intera. Una condizione di indeterminatezza, di insicurezza sembra essere una costante nella nostra continua crescita e ricerca di autonomia lavorativa.

Sempre più sono i giovani che “scappano”, provano a intraprendere un cammino al di fuori del nostro Paese, spesso senza sapere a cosa realmente vanno incontro, a volte tornando a “mani vuote” o sopravvivendo per non deludere o essere delusi da quella che credevano essere “la nuova America”.

Viene costantemente negata la possibilità di affermare un’ identità lavorativa e personale. Così facendo però non si va a “violare” solamente la sfera economica di una persona, ma viene negato ciò che può rendere un’entità definibile e riconoscibile, lasciando la maggior parte dei giovani in un “limbo”, uno spazio indefinito nel quale vagano costantemente alla ricerca di una solidità.

L’introduzione del lavoro “atipico” in Italia ha prodotto notevoli mutamenti nel mercato del lavoro. Tali mutamenti non sono soltanto legati all’occupazione-disoccupazione, ma riguardano soprattutto il rapporto tra lavoratore e lavoro. Il mercato del lavoro contemporaneo sembrerebbe così includere anche il “Mercato della vita”. Si scambia, oltre alla capacità lavorativa, anche l’intera personalità del lavoratore. Sia che si tratti di precarietà oggettiva, legata alla situazione contrattuale, sia che si tratti di precarietà soggettiva, dovuta ad una percezione personale e alla costante paura di perdere il proprio posto di lavoro.

Ciò che viene proposto oggi è qualcosa di IMPOSSIBILE. Non si può pretendere che un neolaureato o un neodiplomato abbiano avuto esperienza quando il più delle volte c’è la necessità, o meglio l’obbligo di seguire lezioni senza avere possibilità di intraprendere nel frattempo un percorso lavorativo vero e proprio. E poi, perché quantificare l’esperienza? Non sarebbe meglio qualificare l’esperienza?

Credo che la questione sia ampiamente discutibile. Provate a pensare ad un’esperienza pluriennale di una persona che non ha fatto altro che svolgere lavori troppo scomodi per altri , che non ha avuto alcun modo di vedere effettivamente il lavoro per il quale avrebbe firmato un contratto. Ora, questa persona può definirsi ricca di una esperienza lavorativa? Io dico di no.

Riflettiamo insieme sulle modalità di ricerca di un lavoro. Internet, con la sua infinità di siti a cui rivolgersi (e spesso, direi anche troppo, gli annunci sono sempre gli stessi), ci sono poi le agenzie interinali, i giornali (ora praticamente non più consultati), il passaparola e, dulcis in fundo, le raccomandazioni.

I siti internet spesso traggono in inganno, non specificano la mansione, risultano essere così vaghi e non danno una sicurezza sulla ricezione del curriculum inviato. Nessuna risposta, non abbiamo neanche più l’umiliazione di sentirsi dire “Grazie, le faremo sapere”.

E sono proprio in questi siti che si inseriscono cosiddette agenzie, con “comprovata e pluriennale” presenza sul territorio nazionale e internazionale. Società fasulle che promettono lavoro, e lo danno è vero, ma non per quello per cui ci si è proposti. Sono delle vere e proprie truffe contro cui qualcosa sta iniziando a muoversi. Sono “società fantasma” che promettono di farti lavorare in una determinata posizione lavorativa e che in realtà poi si concretizzano come il classico venditore “porta-a-porta”.

Un altro punto su cui riflettere sono le pochissime possibilità di entrare a far parte di una realtà lavorativa piuttosto che di un’altra. Questo perché (così dicono) il mercato del lavoro è ormai saturo. Ma questa condizione a cosa è dovuta? I giovani ci sono … Direi di sì, ma non sono troppi quelli che sono “a spasso”? Quanti occhi pieni di entusiasmo vediamo uscire dalle università tenendo ben in vista la loro laurea lucente in mano e quanti di questi occhi vediamo poi spegnersi sotterrati da contratti indecenti di 15 ore settimanali, di un mese più possibilità di proroghe che non ci saranno mai, di possibile inserimento in azienda. Che vergogna! Sprechiamo talenti come niente fosse e poi ci lamentiamo perché il Paese rimane immobile, cristallizzato nelle sue stesse ferite.

La spiegazione di questa condizione la si trova facilmente: prolungamento dell’età pensionabile. O forse questa è una delle scuse utilizzate per coprire una mentalità radicata a fondo, quella italiana del clientelismo, di chi non lascia la poltrona fino all’ultimo e oltre, dell’Italia che manda avanti “il figlio di”, di un Paese che non vuole crescere e preferisce rimbalzare gravosi problemi dalla destra alla sinistra perché è più comodo così.

Queste dinamiche convergono tutte verso un punto focale e cioè la costruzione di una “identità a termine”. Un’identità che non può costruirsi fino in fondo, non permette di dimostrare le proprie capacità e le proprie qualità. Un’identità che rimane incompleta, tronca, mancante. Le porte sono sempre più chiuse in una società che si presenta vecchia, incapace di accogliere le novità e coltivare nuove forze lavoro (e non di sfruttarle e basta).

Silvia Di Pietro

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8 marzo è passato ma continua

Un altro 8 marzo è passato. La giornata della donna anche quest’anno è stata annunciata e accompagnata da voci diverse, tante opinioni che delineano schematicamente due posizioni: è una festa da rottamare, è un’occasione da valorizzare. A Cernusco si è voluto dare valore a questa giornata.

L’associazione Donne di Oggi (UDI) e l’Associazione per una Libera Università delle Donne (LUD) per la prima volta in collaborazione, con il patrocinio dell’Amministrazione Comunale hanno organizzato un’iniziativa su “Donne e lavoro”, tema caldo del momento.

Il significativo titolo della serata, “Vogliamo il pane e anche le rose” esprime bene come le donne non hanno voluto perdere l’opportunità di portare la loro idea di politica e le loro priorità, il loro sguardo sulla realtà, la voglia di progettare e andare avanti. La locandina presentava così l’evento: Il lavoro che c’è, il lavoro che si è perso, il lavoro a cui si rinuncia, il lavoro precario, il doppio lavoro. Durante la lunga serata, più di due ore, alla presenza di un pubblico numeroso si sono alternate testimonianze dirette, musica , canti, letture, danze.

I racconti di esperienza hanno avuto lo spazio maggiore, hanno parlato di lavoro al femminile la giovane universitaria che vive con una borsa di studio, la mamma ricercatrice che tiene insieme lavoro e famiglia, la madre imprenditrice alla ricerca di equilibrio tra lavoro e carriera, la giovane insegnante precaria, l’educatrice alle prese con un lavoro usurante che non è riconosciuto come tale, l’emigrata sospesa tra due mondi, la mediatrice culturale, la sindaca, la sindacalista. Ogni intervento, ogni esperienza raccontata in modo semplice e diretto, ogni lettura, ha sollecitato la riflessione sulla vita vera e sulle identità del femminile.

Se qualcosa è mancato è stata la testimonianza degli aspetti più dolorosi del momento: la disoccupazione, la perdita del lavoro. Dalla serata è emersa soprattutto l’idea di una donna che sa mettere in campo le proprie risorse, che non è vittima della fatica, della famiglia, della supplenza ai servizi che mancano, ma non è venuta meno la consapevolezza che tanti ostacoli e aspetti drammatici fanno ugualmente parte della realtà femminile.

L’8 marzo è passato, ma continua. La speranza è che quello che si è realizzato abbia un seguito, che lo scambio di esperienze e di emozioni prosegua, passando attraverso le generazioni e rimescolandosi tra le persone, uomini e donne di varia provenienza: che l’8 marzo “cammini”.

Rosaura Galbiati



8 marzo Vogliamo il pane e anche le rose

Udi 8 marzo 2012

Vogliamo il pane e anche le rose è il dibattito organizzato per la Giornata internazionale della donna dal gruppo Donnedioggi, Libera Università delle donne, con il Patrocinio del Comune di Cernusco S.N.

Racconti di esperienze, letture, musica, buffet per discutere di donne e lavoro:

il lavoro che c’è
il lavoro che si è perso
il lavoro cui si rinuncia
il lavoro precario
il doppio lavoro

Giovedì 8 marzo 2012, alle 21, al Centro Cardinal Colombo, p.zza Matteotti, Cernusco sul Naviglio

Scarica il volantino Vogliamo il pane e anche le rose

Impatto della crisi economica sulle donne di Cernusco

L’Assessorato alle Politiche sociali del Comune di Cernusco sul Naviglio ha commissionato all’Associazione BLIMUNDE, nell’ambito delle attività dello Sportello Donna dalla stessa condotte, una ricerca di approfondimento della realtà cernuschese, esplorando l’impatto della crisi economica sulle donne, in quanto lavoratrici, madri, componenti delle famiglie.

Gli obiettivi posti nella ricerca sono di: a) conoscere le ricadute della recessione economica sulla “vita quotidiana” delle persone, delle donne, delle famiglie; b) aprire un focus specifico sulla recessione economica, sul lavoro/non lavoro femminile e gestione della maternità; c) rilevare i disagi, i nuovi bisogni e le possibili risorse.

Il presupposto della ricerca è che la crisi economica attuale è molto diversa dalle precedenti. Una delle differenze più rilevanti è che stavolta il peso della recessione è più uniformemente diviso tra donne e uomini, per i cambiamenti intervenuti nel tasso di occupazione femminile, nella composizione del budget familiare, e nella ripartizione dell’impatto della crisi tra i diversi settori dell’economia, con un più rilevante impatto, rispetto al passato, su quelli maggiormente femminilizzati. Ma tutto ciò rischia di restare nell’ombra, e non essere considerato nei programmi di policy contro la crisi.

Abstract della ricerca “crisi economica e territorio”

Giovani donne tra lavoro e maternità

Per presentare alla città i risultati della ricerca Crisi economia e territorio: impatto sulla vita quotidiana delle donne e delle famiglie, il Comune di Cernusco sul Naviglio Assessorato alle Politiche sociali, in collaborazione con l’associazione Blimunde, organizza l’incontro “Giovani donne tra lavoro e maternità”,  venerdì 2 marzo 2012 – Biblioteca di Cernusco S/N alle ore 21.00.

Intervengono:

Lia Lombardi, sociologa, Università degli Studi di Milano
Barbara Siliquini, co-fondatrice di www.GenitoriChannel.it, Presidente dell’Associazione Parto Naturale (www.partonaturale.org)
Susanna Fresko, analista filosofa, Associazione Blimunde

Il valore delle donne – scarica il volantino