Maternity blues: quando una madre uccide.

Maternity Blues, tratto dal dramma teatrale “From Medea” di Grazia Verasani è un film italiano del 2011 diretto da Fabrizio Cattani e distribuito in Italia dopo essere stato presentato in anteprima alla 68ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
Non conoscevo questo film prima di essere invitata ad un incontro da parte dei ragazzi dell’Associazione In-formazione, una associazione studentesca nata all’interno del corso di Servizio sociale dell’Università Milano Bicocca, per discutere appunto di Maternity blues.

Maternity blues in breve

Il film racconta la storia incrociata di quattro donne diverse tra loro, ma legate da una colpa comune: l’infanticidio. Clara, la protagonista, è una giovane donna che come estrema conseguenza di una depressione post-partum ha annegato i suoi due figli. Ricoverata in un ospedale psichiatrico, entra in contatto con una comunità di donne-Medee che hanno tutte affrontato il gesto estremo dell’infanticidio. In modo particolare, stringe rapporti con le tre compagne di stanza Eloisa, Rina e Vincenza, ognuna dotata di un carattere estremamente diverso e di una complessa fragilità. Mentre la vita nell’istituto procede fra sedute di terapia di gruppo, piccole crisi e felici momenti di festa, al di fuori Luigi, il marito di Clara cerca lentamente di ricostruirsi un’esistenza serena pur rendendosi conto di non riuscire a smettere di amare la donna che gli ha dato e poi portato via i suoi figli.
Quello della madre assassina è un tema che, pur nato nella classicità, non ha mai smesso di inquietare la nostra morale e in modo particolare la nostra cultura, per la quale l’istinto materno è ancora conditio sine qua non della femminilità.
Un film duro, che non fa sconti e che colpisce alla pancia affrontando con sensibilità un tema “faticoso”. Mi è piaciuta la scelta del non giudizio nei confronti delle protagoniste, ma neppure di una giustificazione e, tanto meno, di assoluzione. Vediamo semplicemente la fotografia delle loro vite, raccontate dal luogo dove stanno scontando la loro pena, l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario, e contemporaneamente cercando di «curarsi» con il supporto di psichiatri.
E’ interessante sottolineare come le donne vivano “sospese” in un limbo dalle pareti sottili che le separa, ma al tempo stesso le protegge dal mondo reale. Un limbo difficile da varcare anche per via di quei pregiudizi e quella superficialità a cui i media e la società ci hanno abituato.
Per chi non ne avesse mai sentito parlare, la Maternity blues depressione post-partum – rappresenta la più comune delle sindromi del puerperio e la sua frequenza é particolarmente elevata (dal 25 all’85% di tutte le donne che hanno partorito e sperimentano una certa instabilità emotiva nelle prime settimane dopo il parto). Sostanzialmente è una sindrome legata alle brusche variazioni ormonali che avvengono qualche giorno dopo il parto e tende ad autolimitarsi per poi scomparire definitivamente nel giro di pochi giorni, ma non sempre è così.

Come riconoscere i sintomi della Maternity Blues?

Sbalzi di umore, umore labile con facile tendenza al pianto, tristezza, ansia, mancanza di concentrazione e sensazione di dipendenza sono solo alcuni dei segnali che potrebbero condurre la neo mamma verso una depressione post- partum. La Maternity blues infatti è provocata da molti più fattori: importanti sono i rapidi cambiamenti ormonali con la caduta dei livelli di estrogeni e di progesterone che avvengono subito dopo il parto, lo stress psico-fisico legato al momento del travaglio e del parto, le possibili complicanze fisiche del post-partum, come i postumi del taglio cesareo che limitano l’autonomia della madre, la fatica fisica, l’ansia legata all’aumento delle responsabilità, l’insorgenza di imprevisti o contrasti con i familiari, i parenti.
In questa situazione è molto importante poter condividere le esperienze provate con altre mamme e poter pianificare una buona divisione dei compiti con il compagno o i familiari stretti.

Si può curare la Maternity blues?

Data la sua transitorietà non rende necessari interventi medici e psichiatrici specifici o particolarmente strutturati. La maggior parte delle volte informazione, rassicurazione e supporto dei familiari sono sufficienti. Infatti sebbene la sintomatologia possa essere dolorosa, tipicamente non si riflette sulle capacità della mamma di prendersi cura di sé e del proprio bambino.
E’ importante fornire indicazioni alle dimissioni dal parto circa l’assetto di vita possibilmente da promuovere nei primi mesi dopo il parto in modo particolare per quelle neomamme che hanno già nella loro storia dei fattori di rischio per una depressione post-partum quali un sonno adeguato per quantità e qualità, l’eliminazione di caffeina, nicotina ed altro, la riduzione degli stress psicosociali e l’indicazioni di tecniche di rilassamento del corpo.

Dato che le neomamme vengono generalmente dimesse dall’ospedale pochi giorni dopo il parto, dovrebbero tuttavia essere informate di questa condizione prima della dimissione ed è altresì importante riconoscere la maternity blues perché il 20% delle mamme che ne soffrono svilupperà in seguito una depressione puerperale.

Nonostante le generalizzazioni di sintomi e probabili cure,ogni donna lo sappiamo bene è un mondo a sé e per questo è importante imparare a conoscersi e sapere quando si è troppo vicini al limite per provare a tornare indietro. A questo punto è fondamentale il ruolo della famiglia e in prima linea del compagno di vita che non può e non deve considerare il figlio appena nato un onere e onore solo della madre, ma deve impegnarsi al suo fianco ogni giorno per condividere le tante gioie ma anche le paure e le “ombre”.
Concludo con una frase del film che vuole portarci a riflettere, donne e uomini senza distinzione:

“ Cos’è una madre? Una che non può fallire mai? Quando è nato mio figlio mi dicevano che l’istinto materno verrà naturale appena lo terrò tra le mie braccia, che sono tutte uguali le donne ma non è andata così. Non incolpo nessuno per quello che ho fatto, a parte me.”

 

Son tutte belle

Son tutte belle è un progetto di documentario che ha l’obiettivo di indagare e raccontare le donne italiane e straniere attraverso il loro rapporto e confronto con la maternità, coinvolgendo persone e personaggi diversi, lontani e vicini, fino a costruire un ritratto della condizione femminile in Italia, qui e adesso, in relazione all’essere e al diventare – o meno – madre.
Il team di registe che ha lanciato il progetto comincia con un primo grande lavoro di ricerca testimonianze, in tutta Italia.
Le promotrici hanno lanciato in rete una richiesta di autointervista. L’abbiamo ricevuta e volentieri la rilanciamo:

Cerchiamo delle donne che ci raccontino la loro esperienza rispetto alla maternità. Che siano mamme o no, che l’abbiano desiderato o no, quello che ci interessa sono le storie e i percorsi.
Basta un filmato, fatto con una videocamera o un telefonino, in cui vi raccontate, o aiutate un’amica a raccontarsi. Potete anche mandare le immagini del vostro quotidiano, senza apparire in prima persona nell’immagine, ma mostrando dove siete.
Ci serve perché vogliamo costruire un film, in internet, che faccia vedere come stanno le donne in Italia, oggi. E faccia riflettere, facendo venire voglia di intervenire, scrivere commenti, mandare altri filmati.

Per ogni dubbio andate sul sito di SONTUTTEBELLE, è tutto spiegato. E se non vi sembra chiaro, scrivete a info@sontuttebelle.org
 

Giallo

Quel giorno l’ho lasciata tra le braccia di mio padre, dormiva serena e perciò me ne sono andata a cuor leggero. Nonostante tutto il trambusto che avevo intorno, il muso lungo di papà e lo sguardo attonito di Giorgio, il nostro maggiordomo di sempre, un’espressione balorda che non gli avevo mai visto e che in quel momento non capivo.

Uscii di casa camminando all’indietro, qualcuno mi stava tirando per le spalle e io ogni tanto inciampavo nei miei stessi piedi, ma continuavo ugualmente a fare il gambero, forse lo trovavo divertente, e comunque in quel momento non sarei stata in grado di voltarmi, ché i miei occhi s’erano come incollati a quegli insoliti e vistosi bracciali che Giorgio s’era infilato intorno ai polsi, sembravano manette.

Era tutto a posto, lo sapevo. Avevo fatto il mio dovere fino in fondo.

Le avevo già dato un nome, e avere un nome era tutto, non le sarebbe servito altro; e adesso la stavo lasciando al sicuro in braccio a suo nonno, lì poteva dormire tranquilla.

«Lucrezia, papà! Si chiama Lucrezia!». Lo vidi annuire, e ne fui rassicurata.
Darle un nome. Scegliere un bel nome. Era stato questo il mio primo pensiero, la mia grande e unica preoccupazione nell’istante stesso in cui avevo saputo che lei sarebbe stata mia: l’ansia di trovarle un nome bello, degno di lei e di quello che per me sarebbe stata. Degno di me.
È questo quello che ho provato, e non gioia o tenerezza, certamente non sconforto né paura di non essere all’altezza o chissà che altro. E dopotutto credo sia stata una reazione naturale, visto che il non aver mai avuto un nome vero, un nome che mi appartenesse da subito e fosse realmente tutto mio, è sempre stata la mia grande dannazione.
Il nome di mia nonna me l’hanno appioppato per dovere, e potevano anche farne a meno, dico io, se poi mi hanno sempre chiamata col nome di mia mamma, poveretta… salvo poi pronunciarlo tutti, mio padre per primo, con quell’odiosa riluttanza triste che ero certa volesse dirmi: “Piccola cara non volermene, il suo nome te lo concedo ma rassegnati, non sei come lei né mai potrai esserlo… il confronto non regge!”
Mio padre stentava a pronunciarlo, quel nome, forse non riusciva ad abituarsi del tutto all’assenza di mia madre, così preferiva chiamarmi “piccolina” e se parlava di me con qualcuno diceva sempre e soltanto “mia figlia”. Per Giorgio ero “la signorina”, per zia Clara “la pupetta”, e per tutti gli altri, o quasi tutti, io ero semplicemente “la figlia di”; e dopotutto mi andava anche bene, se era proprio così che io stessa ero solita presentarmi: come “la figlia di”… figlia di mio padre e di una donna che non c’era più. Una donna molto bella e amata da tutti, che un giorno a causa mia era volata in cielo troppo giovane. Partorendo.

Quasi nessuno usava il mio vero nome, quello di mia nonna. E quando qualcuno mi chiamava con quel nome, il nome di mia madre, percepivo nei suoi occhi un conato di compassione che per me era una pugnalata in petto ogni volta, e allora il mio odio per lei cresceva, e io mi arrabbiavo con Dio e col mondo intero e poi anche con me stessa… per averla uccisa così, senza neppure esserne cosciente; arrivavo a pensare che avrei preferito farlo dopo, probabilmente con più motivi e maggior soddisfazione.

Pensieri malvagi, lo so, ma in fondo ero solo una bambina! Una piccola bimba indifesa, senza mamma e senza nome; che avrebbe forse voluto più affetto, e che sognava baci e carezze impossibili… e cercava vendetta alla sua impotenza sfogandosi in quelle innocenti farneticazioni.

La mia bambolina avrà un nome vero, tutto suo da subito e per sempre.

È stato questo il mio primo, anzi l’unico pensiero, il motivo l’ho già spiegato. Forse non ero molto lucida in quel momento, ricordo bene che mi ero appena fatta, la musica era troppo alta e il soffitto mi ballava addosso e le gambe mi s’intrecciavano in continuazione… ma sarebbe andata così in ogni caso, lo so, di questo sono certa.
Pensa e ripensa, quel giorno nel delirio ho scelto “Lucrezia”, che poi è diventato “piccola Lulu” che no, non è una storpiatura ma un diminutivo tenero, affettuoso: io sono la sua mamma, e quindi posso farlo.

Da quando è arrivata la mia Lulu, finalmente ho smesso di essere per tutti “la figlia di”, e sono diventata con orgoglio “la mamma di”. Il che, devo dire, è molto più gratificante.

Stringere al petto la mia bambolina, la prima volta, è stato come rinascere. La tenevo con cautela, mi sembrava talmente piccola e fragile che temevo potesse rompersi da un momento all’altro. E mentre la guardavo dormire tra le mie braccia, chissà perché, continuava a balenarmi in mente l’idea che in realtà quella che avevo in mano fosse solo una statuina di sabbia bagnata, che avrebbe conservato quella forma favolosa finché fosse rimasta umida, ma poi asciugandosi si sarebbe sgretolata a poco a poco e sarebbe scomparsa sotto i miei occhi impotenti, scivolandomi tra le dita senza che io potessi far niente per evitarlo, e prevedevo il vuoto incolmabile che avrei avuto nelle mie mani, mani che senza di lei non sarebbero mai più state così grandi e forti come in quel momento e che per sorreggermi avevano bisogno di un appiglio, e quell’appiglio era lei, e anche se poteva sembrare che io la stessi tenendo in braccio in realtà era lei, la mia ancora di salvezza. Era Lulu a tenere in vita me, e non viceversa.
La guardavo dormire serena, e per un attimo mi sentivo felice, leggera e in pace con me stessa come mai avrei creduto possibile. Ma un istante dopo, chissà come, i miei pensieri impazzivano, facendomi naufragare nella solita visione della statuina di sabbia o in mille altre allucinazioni che non voglio nemmeno ricordare, e io non riuscivo a fermarli, provavo a controllarli seguendo il ritmo del respiro lieve e regolare di Lulu, camminavo su e giù per la stanza inspirando espirando e tentando di calmarmi… poi lei si svegliava piangendo, la prendevo in braccio e la cullavo, prima dolcemente, ma lei piangeva ancora e io aumentavo il ritmo, la cullavo con più energia e la scuotevo, e lei per tutta risposta strillava sempre di più, sempre più forte, non riuscivo a farla smettere. Allora la ributtavo nella culla, sbattevo la porta. E tornavo a farlo.
Mi facevo, ancora.

Dopo essermi fatta era tutto più facile, mi mettevo a ballare col soffitto e la musica a palla, le gambe mi s’intrecciavano per un po’ e poi pian piano si scioglievano, e quando si erano sciolte del tutto la musica finiva e io me ne tornavo nell’altra stanza, stordita ma contenta, e allora ricominciavo a giocare a far la mamma.

Però quella volta il pianto non cessava, e anzi era un crescendo, arrivava a sovrastare il volume più alto dello stereo ed era davvero insostenibile, talmente forte che m’impediva di danzare. Spalancai la porta, indispettita, mi avvicinai alla culla animata da una rabbia che stentavo a trattenere, e d’istinto la presi in braccio con una furia quasi violenta. Poi vidi il suo visino dolce, e subito mi ammansii: tutta la collera sembrava svanita; si era come dissolta, in un attimo.
La guardavo strillare e restavo lì, impietrita. Ero incantata, estasiata dalla sua straordinaria perfezione; pur se gli occhi strizzati erano ora fessure pressoché invisibili, e il suo minuscolo nasino sembrava quasi un brufoletto, così arricciato dal pianto. Era comunque talmente bella! Con la sua tutina gialla, le gote tonde e piene un po’ arrossate, i pugnetti chiusi e i piedini imbizzarriti… la strinsi al petto e ripresi a cullarla, e mentre la cullavo le mie braccia s’intrecciavano, e io non potevo scioglierle e la stringevo, la stringevo forte forte ma nonostante il mio abbraccio il pianto era sempre più straziante, soffocante, disperato.

La mia bambolina ha smesso di piangere, adesso. Qui dentro ho imparato a cullarla bene, le canto canzoncine e le massaggio il pancino quando ha le colichette. Sono diventata brava anch’io, alla fine. Ormai sono una mamma vera che ha smesso di farsi, con le buone o le cattive non importa, quel che conta è il risultato e stavolta, incredibile ma vero, ho finalmente tagliato il traguardo.

Devo ammetterlo, se ce l’ho fatta devo esser grata a Lulu, alle sue piccole manine, alle sue guanciotte rosa, alla sua boccuccia a forma di cuore, ai suoi piedini sempre irrequieti, al suo sederino liscio liscio e ai suoi grandi occhioni scuri… perché qui dentro ho amato tutto e così tanto, di lei, che un giorno finalmente i miei pensieri hanno smesso di impazzire e sfuggire al mio controllo, e io sono riuscita a chiudere per sempre con tutta quella robaccia che un tempo m’infilavo nelle vene.
Da allora mi sento una donna più vera, sana e consapevole. Completa.
E anche se in fondo al mio cuore sarò sempre, prima di tutto, semplicemente “la mamma di”… oggi tutti hanno imparato chi sono. Sanno dove vivo, come mi chiamo e quello che ho fatto. Lo sanno tutti. Non solo chi vive qui, come me, o chi mi ha conosciuto prima che vi entrassi. Ma anche chi non mi ha mai incontrata né mai mi vedrà, probabilmente, ché qui non ci è mai stato e non ci verrà mai, perché la sua vita è tutta là fuori.

Divento matta, se ci penso. Per qualche tempo ho avuto persino le prime pagine, una bella serie di servizi in TV e le interviste dei migliori giornalisti: il tutto fatto a regola d’arte, con puntuale citazione di nome cognome eccetera… quasi che ce li avessi anch’io, un nome e un cognome!

Me li hanno regalati, alla fine, grazie a Lulu; ma ancora stento a riconoscerli, e forse in fondo non credo che mi appartengano davvero.
Lucrezia avrà nove anni, domani. Alle dieci verrà papà a prendermi in auto, e insieme andremo a trovarla.
Lei e la mamma, con una bambola e un fiore.
Una rosa gialla, come ogni anno.
 
Sabrina Calzia

Maternità sì, maternità no

“Maternità sì, maternità no: le donne si interrogano”. Se ne parla con Eleonora Cirant, giornalista freelance e scrittrice, studiosa del rapporto uomo – donna.
Dove e quando: 17 novembre 2012, ore 16-18, Biblioteca civica ”Lino Penati” di Cernusco sul Naviglio, via Cavour

Organizza: Libera università delle donne di Cernusco sul Naviglio

Sarà tutta colpa della precarietà?
Certo, una buona fetta di donne in età fertile che rimandano la maternità o vi rinunciano lo fa perché sente di non avere una stabilità economica e di non poter fare progetti  a lungo termine.
Ma sotto sotto c’è dell’altro. C’è una soggettività femminile complessa e in divenire. C’è una generazione che si trova a fare i conti con il desiderio e la scelta, forse per la prima volta da quando il movimento femminista ha sdoganato i contraccettivi e la libertà sessuale. E’ la generazione delle trenta-quarantenni, di cui sonderemo domande e ambivalenze tra vecchi pregiudizi e nuove sfide.
 

Crediti immagine: Susan Bee, http://www.brooklynmuseum.org/eascfa/feminist_art_base/gallery/susan_bee.php?i=716

Quando le mamme non ce la fanno

Una neo-mamma confusa e affaticata chiede consiglio alla psicologa dello Sportello donna

Mi chiamo Natasha, ho 28 anni e sono nata e vissuta fino a quattro anni fa in Polonia. Nel 2008 sono arrivata in Italia da sola, ho trovato lavoro come badante, ho trovato un fidanzato e ci siamo sposati due anni fa. Io sono sempre stata bene, ma da qualche mese faccio più fatica ad uscire di casa, mi viene l’ansia, sono sempre tanto stanca e faccio confusione su tutto.
Sono tanto preoccupata perché ho un bambino piccolo di 10 mesi e spesso sono sola con lui e quando sto così, non mi sento tranquilla. Cosa posso fare per stare meglio?
Grazie. Natasha

Buongiorno Natasha

ad alcune neo-mamme può capitare di vivere una situazione di malessere come quella da lei descritta. La nascita di un bambino destabilizza inevitabilmente, seppur in diversa misura, l’equilibrio sia individuale, sia di coppia, poiché rappresenta un grosso cambiamento nella vita di una persona, in termini di priorità, responsabilità, ruoli, …e talvolta questo periodo iniziale può essere caratterizzato dalle sensazioni che lei descrive.

A volte questi segnali si riducono e scompaiono fisiologicamente, altre volte invece possono avere una durata maggiore e iniziare ad essere vissuti come invalidanti per alcune aree della propria vita. Nel suo caso forse queste sensazioni sono amplificate da un maggior senso di solitudine dettato dall’assenza o dalla ridotta presenza di una rete socio-familiare di supporto, fondamentale in questa fase del ciclo vitale (e forse anche di suo marito?).

Tuttavia queste difficoltà che lei racconta sarebbe utile che venissero approfondite, attraverso consultazione psicologica, al fine di risignificarle all’interno della sua storia personale e familiare.

Suggerisco vivamente di ‘occuparsi’ di tutti questi segnali che il suo corpo e la sua testa le mandano, come manifestazione di un disagio che va contenuto al fine di evitarne un incremento, che trascinato nel tempo potrebbe diventare sempre meno gestibile autonomamente. Ecco il prossimo passo per ‘stare meglio’ è proprio quello di richiedere aiuto ad un professionista.

Se desidera una risposta più approfondita, mi contatti presso lo Sportello Donna di Cernusco S/N.

Può richiedere un appuntamento tutti i giovedì dalle ore 16.00 alle ore 19.00 telefonando oppure recandosi di persona. Il mio giorno di ricevimento è il venerdì dalle ore 15.00 alle ore 19.00. Grazie

Dott.ssa Chiara Bertonati, Psicologa – Psicoterapeuta

Per l’immagine si ringrazia: http://www.women.it/oltreluna/nadiamagnabosco.htm

 

Donne senza figli, un libro

Ho preso in mano questo libro con interesse e sono arrivata all’ultimo capitolo con interesse inalterato: esperienza che non capita sempre, in particolare se si tratta di un saggio. E saggio questo testo lo è, non solo per il genere cui appartiene, ma per quanto vi si può trovare di riflessione introspettiva e utile per la vita, per la sua capacità di porre domande significative che avviano a un percorso di cui si può anche non intravedere la fine. Le risposte non sono tutto.

Cosa mi ha spinto a comprare questo libro, non appena è uscito? Il tema trattato, ovviamente, anche la conoscenza dell’autrice, ma soprattutto la voglia di cercare un confronto su una questione che ancora mi interroga, nonostante si sia chiusa per me la possibilità di scegliere la maternità: l’orologio biologico è scattato da un pezzo.

Eleonora Cirant dichiara nel capitolo finale di essere partita da un essenziale presupposto: “il personale è politico”. Potrà forse risuonare come un mantra per chi, come me, ha creduto nel femminismo, o essere un fastidioso slogan fuori moda per altri; una cosa è certa, coniato nei lontani anni ’70, conserva una sua indiscussa verità. Assumere questo punto di vista ha permesso all’autrice di usare un metodo efficace di ricerca, le ha consentito di affrontare la complessità del tema, con un esito a mio parere mai superficiale, mai astratto, ma “leggero” e profondo insieme, sapiente, cioè saggio, come ho già detto. Scrive Eleonora : “Scoprire che il personale è politico mi ha costretto a smontare le categorie di giudizio. Ha illuminato zone d’ombra. Mi ha spinto a riaprire i libri di storia e di filosofia e a rileggerli da un altro punto di vista. Mi ha offerto una chiave di lettura per decodificare il sapere, la lingua, le immagini, le abitudini, le situazioni …”. Potenza di uno slogan.

Nel libro si indagano le scelte di una generazione di donne, quella tra i trenta e i quaranta anni, non segnata da una presenza forte del movimento femminista, che dà per scontate opzioni impensabili trenta anni fa, che sperimenta il precariato come condizione esistenziale. Ne risulta un testo “cresciuto con un occhio alla pratica e uno alla teoria”, come si spiega nell’introduzione. Il lavoro che è stato fatto è davvero serio, come emerge anche dalle citazioni e dai riferimenti bibliografici di tutto rispetto.

Accanto ai concetti espressi da psicanaliste, sociologhe, letterate e saggiste, trovano una collocazione importante le testimonianze di donne comuni che riflettono nel “cerchio delle amiche” e raccontano le diverse emozioni ed esperienze. Confesso che mi ha fatto piacere sapere che la giovane autrice si presenta come femminista e non solo quando intende provocare una reazione, come racconta nello spiritoso capitolo” Soft-femminismo” che chiude il libro e che, sarò di parte, mi sembra dare un significato pregnante a tutte le altre pagine.

L’interesse con cui ho letto le storie di queste giovani donne, nasceva anche dal desiderio di confrontarmi con la generazione del post-femminismo. Forse ero ansiosa di costatare che non tutto è andato perduto, anche se cosciente della loro libertà di scoprire strade nuove, magari discordanti da quelle che noi avevamo trovato, di maturare convinzioni differenti. Le nostre affermavano la possibilità di non identificarci come donne nel ruolo monolitico materno, riflettevano il bisogno di aprire le porte al conflitto ridiscutendo ruoli e destini scritti da altri per noi, esprimevano la necessità di smontare pregiudizi e retoriche. Mi sono riferita più volte al capitolo sul femminismo, non entro nei contenuti delle altre parti del libro, aggiungo solo che nessun aspetto è stato trascurato.

La ricerca si è avvalsa di dati statistici aggiornati, ma non si è soffermata troppo sui numeri, si è occupata di indagare le scelte di queste donne a partire dall’analisi del desiderio di maternità, quello ambivalente e quello inappagato, nel continuo confronto con le condizioni reali del vivere: soldi, casa, lavoro, senza ignorare condizionamenti, tabù e conflitti. Ho apprezzato l’ironia e la vivacità del linguaggio, il ricorso a metafore inedite, i rari e divertenti consigli, il coraggio nell’affrontare le ombre. Mi sono piaciuti la dedica e il ringraziamento dell’autrice ai suoi genitori.

Ho trovato molti aspetti positivi in questo libro, forse manca quell’organicità che qualcuno potrebbe aspettarsi da un piccolo trattato, ma mi ha convinto soprattutto la capacità di dire con libertà l’indicibile, di svelare le ombre, di denunciare i luoghi comuni. In una pagina Eleonora Cirant dichiara di aver voluto dare “… un piccolo contributo alla causa per abolire la maternità come ideologia e istituzione e a favore della maternità come esperimento”. Se questo era l’intento, mi sembra riuscito.

Credo che la lettura di questo libro, a dispetto del titolo apparentemente scoraggiante, “Una su cinque non lo fa”, possa essere utile alle donne che invece lo vogliono fare in modo consapevole. Mettere a fuoco le strettoie tra libertà e costrizione, ragionare insieme sul valore e il senso, aiuta la scelta, qualunque essa sia.

Rosaura Galbiati

28 giugno 2012

Eccemamma, le mamme di cernusco si uniscono "sul fare"

A maggio Eccemamma annuncia di avere raggiunto, a soli tre mesi dalla sua nascita, la quota di 200 tra soci e socie. Un risultato che dà soddisfazione alle fondatrici e che dice del bisogno di socialità delle donne e delle famiglie di Cernusco. Silvia Ghezzi è presidente dell’associazione. Madre di tre bambini, informatica, racconta come nasce questa avventura:

“L’avventura inizia nel 2010 quando io, da pochi mesi trasferita da Bologna a Cernusco, mi sono innamoro di questa città ma individuo alcune carenze nei servizi e nelle attività per il tempo libero per le famiglie. A Cernusco infatti vivono molte persone che vengono da fuori ma non hanno una rete di sostegno familiare.

“Incontro per coincidenza la titolare di Radiomamma, Carlotta, e le propongo di unire le forze. Partivo dal mio bisogno di interagire con il territorio. Poi ho preso contatti con Rita Zecchini, assessora alle politiche sociali, e così è partito il progetto Cernusco family friendly. Abbiamo cominciato a maggio 2011 con un sondaggio per investigare i bisogni delle famiglie, raccogliendo 200 questionari. I bisogni maggiori sono quelli legati alla socializzazione, proprio per il fatto che molte mamme non sono cernuschesi. E poi la richiesta di cultura, con eventi e spazi a misura di bambini”.

“Da settembre abbiamo avviato le iniziative. Abbiamo cominciato a vederci tutti i lunedì mattina. Abbiamo avviato un “osservatorio pediatri”. Abbiamo mappato le ludoteche e tutti gli asili nido, con fasce orari e prezzi, con rating fatto dalle mamme. Questa mappatura è disponibile sul sito, dove le mamme possono commentare e condividere con altre la propria esperienza. Abbiamo attivato una collaborazione con la Croce bianca per corsi di formazione di pronto soccorso pediatrico. Abbiamo organizzato seminari di formazione su come si fa un bilancio di competenze, un businness plan, un curriculum. Abiamo chiesto e ottenuto di avere spettacoli teatrali per i bambini. E poi ci sono i mercatini, in cui si possono scambiare e vendere oggetti.”

“Cernusco è magica nella dimensione. E’ un gran paesone, che facilita la socializzazione e il fare le cose insieme. Anche il rapporto con le istituzioni è più semplice, fin dal rapporto che puoi avere con gli assessori. Fai il gruppo di mamme, e poi ti rivedi per strada. Il livello culturale è alto. Più della metà delle persone che hanno risposto al questionario ha una laurea”.

Quando è finito il progetto abbiamo deciso di costituirci in associazione. Siamo cresciute notevolmente grazie al passaparola. Ci siamo unite sul fare. Non abbiamo un’impronta partitica o politica, siamo molto operative. Individuiamo i bisogni e cerchiamo di rispondervi, organizzandoci in prima persona.

E.C.

Ecce festa!

L’associazione Ecce mamma organizza una festa per presentarsi e per incontrare la città

Sabato 3 marzo, dalle 10 alle 12, Enjoy Piscina, Via Buonarroti, Cernusco sul Naviglio, 20063, Italy

Una festa dove si possono portare i propri bambini, ovviamente, dove si mangia al buffet gratuito, dove si possono conoscere le fondatrici dell’Associazione, dove si può essere informati sulle iniziative prossime e future e sulle convenzioni dei soci, e dove naturalmente ci si può tesserare!

Scarica il volantino

Impatto della crisi economica sulle donne di Cernusco

L’Assessorato alle Politiche sociali del Comune di Cernusco sul Naviglio ha commissionato all’Associazione BLIMUNDE, nell’ambito delle attività dello Sportello Donna dalla stessa condotte, una ricerca di approfondimento della realtà cernuschese, esplorando l’impatto della crisi economica sulle donne, in quanto lavoratrici, madri, componenti delle famiglie.

Gli obiettivi posti nella ricerca sono di: a) conoscere le ricadute della recessione economica sulla “vita quotidiana” delle persone, delle donne, delle famiglie; b) aprire un focus specifico sulla recessione economica, sul lavoro/non lavoro femminile e gestione della maternità; c) rilevare i disagi, i nuovi bisogni e le possibili risorse.

Il presupposto della ricerca è che la crisi economica attuale è molto diversa dalle precedenti. Una delle differenze più rilevanti è che stavolta il peso della recessione è più uniformemente diviso tra donne e uomini, per i cambiamenti intervenuti nel tasso di occupazione femminile, nella composizione del budget familiare, e nella ripartizione dell’impatto della crisi tra i diversi settori dell’economia, con un più rilevante impatto, rispetto al passato, su quelli maggiormente femminilizzati. Ma tutto ciò rischia di restare nell’ombra, e non essere considerato nei programmi di policy contro la crisi.

Abstract della ricerca “crisi economica e territorio”

Giovani donne tra lavoro e maternità

Per presentare alla città i risultati della ricerca Crisi economia e territorio: impatto sulla vita quotidiana delle donne e delle famiglie, il Comune di Cernusco sul Naviglio Assessorato alle Politiche sociali, in collaborazione con l’associazione Blimunde, organizza l’incontro “Giovani donne tra lavoro e maternità”,  venerdì 2 marzo 2012 – Biblioteca di Cernusco S/N alle ore 21.00.

Intervengono:

Lia Lombardi, sociologa, Università degli Studi di Milano
Barbara Siliquini, co-fondatrice di www.GenitoriChannel.it, Presidente dell’Associazione Parto Naturale (www.partonaturale.org)
Susanna Fresko, analista filosofa, Associazione Blimunde

Il valore delle donne – scarica il volantino