Dacci oggi il nostro caos quotidiano

Per la fisica la fine di tutto sarà quando l’ultima scintilla di energia si sarà spenta, nel progressivo raffreddarsi dell’universo. Nel frattempo nulla finisce, ma ogni cosa si trasmuta e cambia.
Per la fisica niente è slegato. La teoria, ormai famosa, del caos, ci parla dell’effetto farfalla, dove il battito d’ala di una farfalla in una foresta dell’Oriente, crea delle perturbazioni nell’aria che prendono forza nel loro divenire fino a creare un tornado a New York. A parte le maledizioni dell’abitante di Manhattan, ciò significa che ogni previsione dei fenomeni si deteriora, errori e incertezze si moltiplicano diffondendosi a cascata.

Tutto ciò non ricorda le nostre vite? Su questo si basa l’ultimo, a nostro parere, bellissimo libro della scrittrice inglese Penelope Lively dal titolo E’ iniziata così. L’operazione è esplicita e scoperta, anzi spesso commentata. Il caso fa succedere una piccola cosa a una persona e questo porta dei piccoli cambiamenti nella vita di chi è vicino a quella persona, che nel tempo portano alla crisi (disordine e cambiamento) di molte vite.

Lively_E-iniziata-cosìSolitamente le operazioni di tale tipo, le opere ‘a tema’ risultano fredde, costruite. Non è il caso di questo romanzo, dove la Lively riesce a costruire un quadro corale dove sette vite vengono trasformate da un piccolo causale evento, lo scippo subito da un’anziana signora da parte di un anonimo adolescente. Se da subito noi perdiamo le tracce dell’anonima causa di tutto, piano piano scopriamo come il fatto, come un’onda sull’acqua, colpisce le persone attorno a Charlotte e poi le persone vicine a queste ultime, crea cambiamenti, fa maturare decisioni, fa finire relazioni, fa nascere amori, scompiglia e ne mette in dubbio la quotidianità.
Un’altra bellezza di queste pagine, per noi malati di libri, è il ruolo che la lettura può avere nella vita della gente: accompagnare una vita, dare dignità sociale ed economica, avvicinare culture diverse, arricchire un rapporto intimo, ecc.

“Da sempre leggere per lei è stato essenziale, necessario, il suo sistema di supporto. La sua vita è stata plasmata dalla lettura. Ha letto non solo per distrarsi, per cercare conforto, per passare il tempo, ma ha letto in uno stato d’innocenza primordiale, in cerca di rivelazioni, di insegnamenti persino…ha letto per capire se per gli altri la realtà era la stessa che era per lei; quindi, scoprendo che spesso non lo era, ha letto per capire quali esperienze altrui si stava perdendo.
Lesse per scoprire come non essere Charlotte, come fuggire dalla prigione della sua mente, come espandersi e sperimentare. E così la lettura si è intrecciata con la vita, l’una il complemento dell’altra.
Charlotte è il prodotto tanto di ciò che ha letto quanto del modo in cui ha vissuto; è come milioni di altre persone forgiate dai libri, per cui i libri sono un alimento essenziale, persone che potrebbero morir di fame se non gli avessero.”

E Lively fa tutto ciò con maestria di scrittura (come sempre complimenti al traduttore..!), con garbo, senza forzature o drammi, con una simpatia verso i propri personaggi. Probabilmente ciò succede sia grazie al suo carattere genuinamente ‘british’ sia al fatto che ha forse scritto più per l’infanzia che per gli adulti.
Alla fine non ci saranno sconquassi finali, qualcosa cambia, qualcosa no. Nessuno sarà veramente felice, magari un po’ più sereno. Altri vivranno nel rimpianto di qualcosa che poteva essere, ma almeno nella consapevolezza che qualcosa d’altro esiste. E che non è mai detto…

“Dunque la storia era questa. Queste le storie di Charlotte, di Rose e Gerry, di Anton, di Jeremy e Marion, di Henry, Mark, e di tutti loro. Le storie innescate in modo così capriccioso da un fatto accaduto a Charlotte per strada, un giorno. Ma di fatto questa non è la fine della storia, delle storie. Il finale è un artificio: i finali ci piacciono – sono soddisfacenti, utili – e mettono un punto. Ma il tempo non si ferma, e le storie marciano al passo con il tempo. Allo stesso modo, la teoria del caos non prevede un finale; l’effetto domino va avanti, inarrestabile. Queste storie non terminano, ma si dipanano l’una dall’altra, ciascuna seguendo il suo corso.”

 
Biblioteca civica L. Penati

Enrica e le sue amiche di carta

Sabato 23 in Biblioteca a Cernusco si è tenuta la presentazione del libro Enrica e le sue amiche di carta delle Edizioni Libera Università delle donne. Si tratta di Ricordi, lezioni e scritti di Enrica Tunesi, una delle insegnanti della nostra associazione, la Libera università delle donne, morta nel 2009.

La presentazione del libro è stata voluta da chi l’aveva incontrata e apprezzata, soprattutto per celebrare il ricordo di un’amicizia e di uno scambio durati dieci anni, dal 1998 al 2008.

La sala Camerani era quasi piena, insolitamente affollata per un sabato pomeriggio: parenti, amici, associate della LUD, ma anche ascoltatori che non avevano né conosciuto Enrica né letto il libro, tante facce nuove, un pubblico vario insomma. E’ stato un bell’incontro, un’esperienza significativa, una comunicazione realizzata. Enrica aveva scritto:

“Penso agli amici come a un coro greco: capaci di accompagnarmi, di ascoltare, di piangere, di gioire, di commentare con me la vita. Naturalmente la parte è intercambiabile: certe volte non io sono protagonista, ma loro, e la funzione di accompagnamento passa a me”.

Credo che in Biblioteca siamo stati un po’quel “coro greco”: tanti e tante sono intervenuti con il loro apporto personale. Mi sembra che sia avvenuto uno scambio autentico: il mondo interiore di Enrica con le persone e le cose che amava è diventato un po’ anche quello dei presenti.

Nel corso degli anni il gruppo Lud di Cernusco aveva costruito con lei un potentissimo legame fatto di carta stampata che le faceva dire:

“Noi che leggiamo, ci inseriamo in un mondo che sentiamo vivo, vero, anche se non è il nostro mondo”.

La sua predilezione andava alle scrittrici di area anglosassone, il suo scopo era quello di farle rivivere e più ci riusciva con noi, più ci sentiva vicine, anche se in passato aveva dichiarato di non desiderare né maestre né allieve. Io invece la consideravo una maestra capace di trasmettere l’amore per i libri:

“…Il fuoco vero alla mente lo dà la poesia, la filosofia, la letteratura. Amo di me le letture che ho fatto, le cose che so attraverso di loro, certo più di mie eventuali qualità morali…”.

E diceva ancora:

“Io vivo di parole e per le parole in continuazione. Io impazzisco di gioia se ascolto una bella poesia… Amo le parole che diventano coscienza, carne e sangue, emozioni…”.

Non so pensare a una più appassionata dichiarazione d’amore, a una più netta assegnazione di valore. Le sue amiche di carta sono le scrittrici ottocentesche come Jane Austen, Emily e Charlotte Bronte, Mary Shelley, la Marchesa Colombi, ma anche le autrici moderne e contemporanee: Margaret Atwood, Alice Munro, Amelie Nothomb, Anna Kavan, Angela Carter, Irene Nemirovski, solo per citarne alcune.

Enrica mirava a cogliere la specificità della loro scrittura:

“cioè quello che le donne in quanto tali sanno esprimere e che non è di tutte le scrittrici”.

E non solo le loro parole le si stampavano in testa, come dichiarava, ma anche le storie inventate o tratte da materiale autobiografico si imprimevano in lei. Alice Munro ha detto in un’intervista:

“Le situazioni non sono autobiografiche, tutte le emozioni certamente lo sono”.

Questo mi sembra particolarmente vero per Enrica. Amiche di carta sono anche i personaggi femminili cui le autrici avevano dato vita: Jane Eyre, la sposa Denza, la pazza Bertha, la ragazzina Antoinette, la signorina Fubuki Mori e tante altre più e meno note. Donne che raccontano e donne raccontate erano davvero diventate parte del suo mondo interiore e questo lo si capiva al volo sentendola parlare.

scansione0002Ci ha insegnato, con quello che sapeva e con quello che era. E noi abbiamo imparato. Ora c’è anche un libro suo, nato dal lavoro di recupero e trascrizione dei suoi manoscritti. Il mio ricordo di lei non ha vacillato in questi anni dopo la sua morte, ma certamente il libro che raccoglie i suoi appunti per le lezioni e altri scritti autobiografici, gli ha dato forza, ha aggiunto emozione, ha fatto crescere il sentimento dell’amicizia che è una preziosa forma d’amore.

Vorrei invitare a leggere il libro di Enrica, a entrare in contatto col “tono della sua voce” che propone una lettura, un personaggio o una scrittrice; per me questo tono aveva finito per contare quasi di più delle storie che ci presentava.

Sono sicura che Enrica, donna intelligente e ironica, borghese e trasgressiva, ricca di spirito e di buon senso, amante del gotico del noir e delle fiabe, possa comunicare molto di sé anche a chi non l’ha conosciuta . Nel penultimo scritto del libro, intitolato Feminist woman?, parla del suo particolare percorso nel femminismo a partire dall’iniziale fastidio provato quando, donna stanca e annoiata, aveva cominciato a sentirne parlare, all’accostamento alle dissidenti del Movimento di Liberazione della Donna alla palazzina Liberty. Di quel periodo annota questa riflessione:

“Apparentemente io ero fortunatissima: avevo un marito in carriera, due figli bellissimi e una tranquilla vita famigliare. Il vuoto che sentivo dentro e che era la mia infelicità era difficile da dire: non mi possedevo e quindi non potevo raccontarmi.”

Erano gli anni ’70:

“mi ci voleva un grande coraggio a piantar lì i bambini e a uscire di sera per tornare a casa tardissimo… Mio marito si aspettava invano che da queste uscite venisse fuori qualcosa di buono per lui… Io ero animata da una specie di puntiglio disperato …”

In seguito l’esperienza della Libreria delle Donne, poi abbandonata, l’aveva incentivata a leggere di tutto in pochi anni, comperava i libri che entravano a far parte della sua biblioteca e dava loro una chiave di lettura femminista; anche al cinema esercitava la stessa ottica e le sembrava di capire e gustare meglio.

Quando l’abbiamo conosciuta noi, oltre vent’anni più tardi, scriveva: aveva imparato a raccontarsi, quindi voglio pensare che finalmente si possedeva.

Ora il libro di Enrica è l’occasione di un ultimo abbraccio che è sempre possibile rinnovare: basta riaprirlo ogni volta che lo desideriamo. E contemporaneamente se ne aprono decine di altri dove incontriamo di nuovo le sue e le nostre amiche di carta.

Rosaura Galbiati

Dimenticate Bollywood

Mahasweta Devi, bengalese, è una delle più grandi scrittrici contemporanee, ed ha dedicato tutta la sua vita ai diritti degli esclusi. Nata a Dacca nel 1926, nel Bengala orientale, quando il Bangladesh ancora non esisteva, è residente a Calcutta, e scrive di contadini, braccianti, fuoricasta e adivasi, vittime estreme la cui vita vale meno di quella delle bestie.

Mahasweta Devi definisce i suoi scritti (42 volumi di racconti, romanzi e opere teatrali) “duri, spietati, brutali, letali, necessari”. Perché smascherano la violenza di un’India intrinsecamente feudale, progettata per garantire il benessere alle classi privilegiate attraverso lo sfruttamento di milioni di persone.

E’ lei stessa che afferma:

“Dopo aver letto i miei lavori, il lettore dovrebbe affrontare la verità dei fatti, vergognarsi della vera faccia dell’India […] In India ogni cosa è destinata alle classi privilegiate, cui anch’io appartengo. A noi, e a noi soltanto, sono riservate le possibilità di studiare, di avere accesso al mondo dell’arte, della letteratura e della cultura. […] La mia esperienza mi fa essere perpetuamente arrabbiata, ci sono sfruttatori e forme di sfruttamento imperdonabili.[…] E dal momento che io credo nella collera, in una violenza giustificata, strappo la maschera all’India progettata dal governo, per denudarne la brutalità” (M. Devi, 1998)

E la Devi scrive soprattutto delle donne, ultimo anello di questa catena di sopraffazione, del loro corpo martoriato che rimane l’unico, indispensabile, strumento di lotta e ribellione.

Un corpo oltraggiato, massacrato, denudato, che non dovrebbe nascondersi perché la vergogna non è sua, ma di chi l’ha così brutalmente ferito.

Come il corpo della protagonista di Draupadi, il primo racconto della raccolta La preda, edito da Einaudi nel 2004. Draupadi è una donna della tribù santal ritenuta una pericolosa  terrorista che, dopo essere stata catturata e violentata, in un gesto estremo di oltraggio all’autorità, si presenta nuda davanti al capo della polizia che ha consentito lo scempio del suo corpo, svilendo così la sua autorità e virilità.

“Draupadi è ora in piedi davanti a lui. Nuda, le cosce e il pube chiazzati di sangue rappreso. I seni, due ferite aperte. Cosa sta succedendo? sta per sbraitare. Dritta davanti a lui, con le mani sui fianchi, ride e dice: -L’oggetto della tua caccia, Dopdi Mejhen. Sei stato tu a dirgli di stuprarmi, non vuoi vedere come stati bravi?”.

Allo stesso modo, Mahasweta Devi nei suoi scritti mostra le ferite di quell’indegna violenza istituzionalizzata indiana, prepotente e vigliacca che, una volta smascherata, ha vergogna e paura di se stessa. I personaggi femminili sono quelli che colpiscono più profondamente, figure  di grande forza, capaci di  passioni e di autodeterminazione.

deviCosì è anche Gangor, protagonista del racconto, Choli ke picche = Dietro il corsetto (contenuto ne La trilogia del seno, Filema, 2005), e del film che porta il suo nome, Gangor appunto, per la regia di Italo Spinelli, realizzato in una coproduzione tra Italia e India nel 2010.

Il film narra di Upin, un affermato fotografo di Calcutta, che volendo catturare alcune immagini per denunciare la condizione femminile nei villaggi rurali, fotografa anche Gangor, bellissima ragazza, intenta ad allattare il suo bambino. Proprio quell’immagine verrà pubblicata in prima pagina sul quotidiano per cui lavora, sconvolgendo la vita della ragazza, che da quel momento diventa una reietta della società, avendo dato scandalo con il suo seno nudo. Rimasta sola in preda alla violenza degli uomini del villaggio, viene picchiata, stuprata, violentata anche dalla polizia e costretta a fare la prostituta. Il fotografo, resosi conto troppo tardi di quel che la sua immagine ha provocato, tenta in tutti i modi di salvare la ragazza ma invano. Sarà la stessa Gangor, con coraggio e determinazione a denunciare l’accaduto, portando avanti anche in tribunale la sua difesa.

Nel Sistema bibliotecario Nordest potete trovare:

 La cattura / Mahasweta Devi ; traduzione dal bengalese e cura di Federica Oddera ; con una nota di Paolo Bertinetti. – Roma ; Napoli : Theoria, 1996. – 183 p.

La preda: e altri racconti / Mahasweta Devi ; postfazione e cura di Anna Nadotti ; traduzione dal bengali di Babli Moitra Saraf e Federica Oddera. – Torino : Einaudi, c2004. – 251 p.

Trilogia del seno / Mahasweta Devi ; saggi di Gayatri Chakravorty Spivak ; traduzione dall’inglese e cura di Ambra Pirri. – Napoli : Filema, c2005. – XXIX, 174 p.

Gangor : il coraggio di una donna / un film di Italo Spinelli ; [con] Adil Hussain, Priyanka Bose, Samrat Chakrabarti … [et al.] ; soggetto e sceneggiatura Italo Spinelli, Antonio Falduto ; liberamente tratto dal racconto di Mahasweta Devi ; musiche Iqbal Darbar. – Campi Bisenzio : Cecchi Gori home video, c2011. – 1 DVD (91 min.).

Come un fiume che scorre

Paola Gassmann, Una grande famiglia dietro le spalle, è la proposta di lettura della Biblioteca civica L. Penati per questo mese. La storia della famiglia Gassman, il rapporto tra una figlia e un padre, un libro su quel fiume d’acqua in cui tutti nuotiamo… la famiglia.

Stare nel tempo è come essere pesci nell’acqua, in un fiume che scorre: la corrente, le rapide, le tranquille pozze. Mai questo fluire ci pare chiaro come nello scorrere delle generazioni. Spesso la letteratura si serve di questa figura retorica, imbastendo epopee, genealogie e viaggi nel tempo.

Come la saga, “vera”, della famiglia Gassman, in particolare il libro della figlia del “Mattatore”, ossia Paola Gassman, con il suo Una grande famiglia dietro le spalle (Marsilio 2007).

Una figlia racconta suo padre, per saldare un debito d’affetto, e per farlo lo mette al centro di almeno tre generazioni nonni, zii, mogli, figli, nipoti. Al centro di questa linea temporale c’è Vittorio, il grande attore. La vita ha preparato il suo avvento e lui ha dato una spinta alla vita successiva.

Sicuramente sincera, la nostra autrice ha comunque raccontato una storia, una grande storia. E’ la figlia, ha i tratti di lui incarnati nel proprio viso, ha seguito le orme e ha fatto lo stesso mestiere. Non è una storica, non può avere uno sguardo oggettivo e una correttezza di fonti. Ha costruito pubblicamente un monumento al padre e ci fa godere della sua vista.

L’autrice ricompone un mosaico, fa tornare le tessere, anche quando nella vita reale probabilmente gli spigoli e le scanalature erano ben più aspre. Ma lo fa bene, con affetto per le persone e le cose. Se deve parlar male di qualcuno lo fa capire sotto traccia…

Che sia realmente rappacificata con le vicende sue e della sua famiglia, o che lo voglia far credere a noi, e a se stessa, non lo sappiamo, ma ci piace pensare che sia così. Ci piace pensare che la serenità, il far tornare i conti, possa succedere anche in una famiglia poco tradizionale, con un susseguirsi di amori e di abbandoni, di matrimoni e di divorzi, di nascite e di distacchi, di recuperi e riscoperte. Ci fa intendere che l’inevitabile mutamento dell’istituzione famiglia in questi decenni, alla fine va comunque a pareggiare le cose belle e le cose brutte che le famiglie tradizionali portavano, togliere qualcosa per darne altre.

Una famiglia dove gli attori sono in maggioranza. Non pensiamo come nel medioevo che gli attori siano eretici, classe inferiore, anzi, come non pensiamo che quel lavoro sia diventato impiegatizio… ci sono attori e attori, ma senz’altro, l’abitudine alla scena, alla sceneggiatura, alla ribalta, al dramma e alla commedia ha dato una luce particolare a questa storia e a questo libro.

La partenza è lenta, ma subito il libro prende un suo ritmo e ti trovi ad andare avanti con l’interesse di sapere come va a finire. La semplicità di scrittura diventa a questo punto un pregio, permettendo una lettura gradevole e “amica”. Alla fine, con l’arrivo della vecchiaia per il protagonista indiscusso, il mattatore, con il farsi largo della sua brutta depressione e la morte, le cose si fanno più difficili e il tono diventa più duro, ma mai rancoroso o disperato, anzi. E commuove.

E si vede anche come le persone sono complicate, come spesso rendiamo virtù le nostre ferite: la vitalità del padre, come uomo e come attore, presente fin dall’infanzia, è soprattutto il modo per combattere e vincere il buco dell’anima, il lato oscuro. Che alla fine della vita riprende il sopravvento e riesce a farla da padrone per anni.

Come detto l’interesse di questo libro non è solo per la narrazione delle vicende private della famiglia Gassman(n), che oltre al grande Vittorio (noi lo abbiamo goduto quasi solo come attore di cinema, e già qui è un gigante) ci ha dato altri bravi e simpatici attori. E’, più in generale, un libro su quel fiume d’acqua in cui tutti nuotiamo, ossia la famiglia, sul rapporto tra figlia e padre, le distanze e gli avvicinamenti, il mutare di direzione man mano che passano gli anni. Chi con la famiglia ha un rapporto “non pacificato” non riesce solo a godere di una bella biografia collettiva, ma può confrontarsi con la propria esperienza e le proprie convinzioni, forse troppo legate alla propria esperienza. Insomma, se per la scrittrice la stesura di queste pagine può essere stata anche “terapeutica”, lo può essere anche per il lettore. Se per caso prima uno potrebbe titolare la propria storia come “‘una pesante famiglia sopra le spalle” dopo si potrebbe avvicinare al titolo vero “una grande famiglia dietro le spalle”. Che ha un doppio senso: qualcosa che ti spinge da dietro, e qualcosa che finalmente ti lasci dietro. O più esattamente entrambe le cose.

p.s. il libro è di 5 anni fa, ma come spesso succede riacquista attualità grazie ad un altro libro, appena uscito, ossia quello del fratello Alessandro che da Mondadori ha pubblicato Sbagliando l’ordine delle cose. Il prisma della famiglia Gassman si arricchisce di nuovi riflessi. Da non dimenticare anche il libro scritto dal “Mattatore”, ossia Un grande avvenire dietro le spalle, edito nell’81 , ma di prossima ripubblicazione da Longanesi.

A cura della Biblioteca pubblica di Cernusco S/N

Quiete e tempesta in Anne Tyler

Cosa rende un libro memorabile? La maestria di scrittura, il congegno della trama, l’alto messaggio? O forse il contagio del cuore e dell’animo, il pieno ritrovarsi pur diversi, l’inquietante commozione nella lettura?

Cosa intriga in un personaggio? Le gesta da eroe, le sicurezze e successi, oppure i gesti, le scelte (o le non scelte) e la fragilità?

Dipende, si dirà. Dal lettore, prima di tutto, e anche dal momento in cui legge, dallo stato di cose della sua vita. Non è questione di età credo.

Considerazioni che vengono in mente leggendo uno dopo l’altro i libri di Anne Tyler, scrittrice americana quasi settantenne, famosa al grande pubblico soprattutto per Lezioni di respiro e Turista per caso (da cui Kasdan ha tratto l’omonimo film), e presente nella nostra biblioteca con diverse opere.

Nelle sue pagine scorre il fluire della vita con le sue regolarità, le risacche e le improvvise accelerazioni. I suoi personaggi non sono gente che emerge dalla folla. Gente ‘normale’, dove ‘nella norma’ significa che ognuno è speciale per sé, ognuno è strano e unico, anche senza emergere troppo tra la folla della propria via, del proprio villaggio o del mondo. La difficoltà, la nevrosi, l’anormalità è dentro chiunque, cresciuta con l’età, tenuta a bada per anni, fatta diventare caratteristica di sé di fronte agli altri, divenuta parte integrante del proprio orizzonte. Poi, forse, arriva il giorno che i giochi si rompono, che le regole saltano, gli eventi succedono. Una tempesta più o meno perfetta che stravolge le vite e i giorni, ma i cui effetti vengono di nuovo riassorbiti dal fluire degli anni, fino alla fine. Una fine naturale come la vita.

Non vorrei che si credesse che la Tyler abbia una visione pacificata, dove passioni e desideri non hanno spazio, dove svolte e tragedie non accadano. Niente di tutto questo, semplicemente non ha bisogno di creare serial killer, emarginati estremi, brillanti drogati, figure eroiche nel bene e nel male per descrivere il gioco di fato e destino (ossia quello che ti accade e quello che costruisci).

Non vorrei che si pensasse a pagine dove la commozione e il coinvolgimento sono banditi. Per nulla. Non sono molti che sanno far brillare gli occhi per una vita sepolta o acquietata che si riscatta in un’ora o in un giorno, o per il riassunto di una stagione di vita. La Tyler lo sa fare e bene.

Per questo vi prego di farvi avvolgere dalla sua scrittura, dalle sue trame, dai suoi personaggi con la pazienza di cui solo la lettura può essere capace.

Se vi è una scrittrice di cui vorrei essere personaggio è lei. Se la mia vita potesse diventare una trama per un libro, vorrei che fosse lei a scriverlo.

BIBLIOGRAFIA

Se mai verrà il mattino, L’albero delle lattine, Una vita allo sbando, Ragazza in un giardino L’amore paziente, Una donna diversa, Il tuo posto è vuoto, Possessi terreni, La moglie dell’attore, Ristorante nostalgia, Turista per caso, Lezioni di respiro, Quasi un santo, Per puro caso, Le storie degli altri, Quando eravamo grandi, Un matrimonio da dilettanti, La figlia perfetta. La bussola di Noè , Guida rapida agli addii.

A cura della Biblioteca comunale di Cernusco s. N.

Crediti immagine: http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Mary_Cassatt_003.jpg

Blanche e Marie tra scienza e passione

Testo di strana bellezza, sospeso tra romanzo e ricostruzione storica, questo Il Libro di Blanche e Marie, edito da Iperborea. Scritto da Per Olov Enquist (nato nel 1934 in Svezia), va a scandagliare l’animo di donne che sono state protagoniste, più o meno riconosciute, del passaggio di secolo tra l’800 e il ‘900, un periodo che ha visto l’apice dell’ottimismo scientifico e l’inizio della messa in crisi di una ragione che vedrà il suo apice sociale nel lago di sangue della Grande Guerra.

Blanche

La vicenda si svolge a Parigi, protagoniste la giovane Blanche Wittman, conosciuta come “regina delle isteriche”, paziente preferita del professor Charcot (maestro di Freud) alla Salpêtrière, ospedale per malati di mente, poveri e prostitute, e divenuta dopo la guarigione una delle assistenti di laboratorio di Madame Curie, la scienziata vincitrice di due Premi Nobel.

Ridotta a un torso dalle ripetute amputazioni rese necessarie dalle lesioni causate dalla radioattività, Blanche scrive febbrilmente con l’unica mano che le resta il Libro delle Domande, una sorta di diario intimo sulla natura della passione, per scoprire “la relazione tra il radio, la morte, l’arte e l’amore.”

Nel diario, e nel romanzo di Per Olov Enquist che finge di attingervi, la storia di Blanche e del suo sentimento per Charcot (che sostiene di aver “ucciso” con la sua passione), si intreccia con quella di Marie Curie e dei suoi amori: il marito Pierre, l’amante Paul Langevin, la scienza, la Polonia, il radio con la sua misteriosa e mortale luminescenza bluastra.

Marie

Marie Curie non viene raccontata al colmo dei suoi successi accademici, ma nell’attimo in cui la sua vita viene travolta e annientata dalla passione amorosa per il giovane collega Langevin, a sua volta sposato e padre di famiglia.

In anni di profonde contraddizioni, tra i primi tentativi della scienza moderna e gli ultimi resti di una percezione “magica” del mondo, le figure di Blanche e Marie, due donne “tradite dall’amore” si intrecciano cercando di penetrare, attraverso la passione amorosa, quel “continente oscuro” che è la vita stessa.

Con loro anche Jane Avril, anche lei internata alla Salpêtrière, anche lei scossa dall’energia profonda del sintomo isterico, segno di un desiderio imprigionato nel corpo, la cui natura tanto ha affascinato i migliori psichiatri (maschi) di quel tempo e a cui Freud ha cominciato a ‘dare parola’. Questa energia Jane poi la riversò nella danza, diventando una delle più famose ballerine del ‘Moulin Rouge’, immortalata per sempre dai ritratto di Tolouse Lautrec.

Jane

Intanto le donne cominciavano a prendere pubblicamente parola: è di quel periodo la lotta delle suffragette inglesi per il diritto al voto e non solo. Nel libro di Enquist si racconta di quando Marie Curie, per fuggire allo scandalo fuggì a Londra trovando rifugio a casa di una di queste donne. La descrizione della lotta nelle strade, dei digiuni volontari in carcere e della loro sorellanza esaltano la differenza che tra l’espressione inconsapevole e individuale di bisogni e diritti con la sofferenza psichica e i sintomi e la consapevolezza collettiva.

E’ quindi un libro di donne, dove gli uomini ci sono, ma sono vili e timorosi o moribondi. A sottolineare il fatto che non è certo il potere pubblico a salvarti dal desiderio di sapere e vivere ‘il segreto più profondo dell’amore’ .

Le immagini ufficiali ci mostrano una Marie posata scienziata di successo, una Blanche spossata dopo ‘l’estasi’ del sintomo isterico e Jane che danza il can can.

Enquist ci racconta, quanto reali e quanto inventate poco importa, le storie nascoste dalla Storia, restituendole carne, sangue e anima.

Per Olov Enquist
Il libro di Blanche e Marie
Traduzione dallo svedese di Katia de Marco
Postfazione di Dacia Maraini
Iperborea, 2006
pp. 264 ; € 15,00

 La Biblioteca pubblica di Cernusco S/N

Scrittrici italiane e letteratura per infanzia

La letteratura per l’infanzia raccontata da tre scrittrici di successo italiane, è la seconda proposta di aprile della biblioteca di Cernusco, che con il post precedente ci aveva suggerito un elenco di libri per ragazzi e ragazze su sesso e genere.

Gli esordi della letteratura per l’infanzia risalgono al XVII secolo e sono legati alla crescente diffusione della stampa. Le nuove dottrine di pedagogia sottolineavano la necessità di munire i libri destinati all’infanzia di “figure”per facilitare la comprensione delle parole.

Con Perrault e la nascita della letteratura fiabistica (1697) si allontanano le estreme manipolazioni moralistiche, e ci si concentra sul valore pedagogico della storia.

Il bambino diventa protagonista grazie alla sua creatività fantastica perennemente attuale.

Intorno alla metà dell’ottocento si riconosce il bambino come tale, e non più come” piccolo uomo”, di conseguenza, nel pieno del romanticismo le fiabe diventano testimonianze del reale(Fiabe per bambini e per famiglie 1812-22 dei fratelli Grimm), oppure nelle raccolte di H.C. Andersen (1835-72) si affianca alle piccole cose da interno borghese, un nuovo linguaggio simbolico (La piccola fiammiferaia).

Questo rapido excursus storico ci permette di concentrare la nostra attenzione nel periodo storico che va da metà ottocento ai giorni nostri.

Sarebbe complesso intraprendere il discorso in maniera ampia, pertanto citiamo solo L.M. Alcott (Piccole donne 1868-69) e A. Lindgren (Pippi calze lunghe 1945). Entrambe le scrittrici si sono distinte per l’originalità e lo spirito innovativo dei loro racconti, tanto da diventare esempio per gli autori e autrici per l’infanzia negli anni successivi.

Arrivando ai giorni nostri, parliamo di Nicoletta Costa, Elisabetta Dami, Bianca Pitzorno.

Non è stato semplice individuare solo tre nomi in quanto il panorama letterario è estremamente vasto; come scelta ci siamo soffermate su tre autrici italiane contemporanee e sul gradimento espresso dai nostri piccoli lettori.

Nicoletta Costa

Partendo dai piccoli iniziamo a parlare di Nicoletta Costa.

Nata a Trieste nel 1953 vive e lavora nella stessa città , laureata in architettura scrive e illustra i testi. Il suo tratto è semplice, essenziale, facilmente riconoscibile i bambini amano i suoi disegni e riescono facilmente a imitare.

Tra i suoi personaggi famosi ricordiamo Giulio coniglio un coniglietto timido e generoso con una passione per le carote.

La Nuvola Olga vive nel cielo, parla con il sole Apollo e la luna Giovanna, gioca con gli uccellini e, all’occorrenza, lascia una piccola pioggia per lavare una pecorella che si è sporcata, o far bere un girasole.

La maestra Margherita è un altro personaggio amato da grandi e piccini… è una maestra insolita distratta e disordinata che ha bisogno delle attenzioni dei suoi bambini che si dimostrano saggi e protettivi.

Nicoletta Costa ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti internazionali: gli ultimi due per il personaggio Giulio Coniglio.

1986 Premio Catalonia d’Illustraciòn (Barcellona)

1988 Premio Golden Pen (Belgrado)

1989 Premio Christian Andersen

1994 Premio Christian Andersen

2002 Premio Grinzane Junior

2010 Premio Christian Andersen

Elisabetta Dami

Il personaggio di Geronimo Stilton lo dobbiamo a questa autrice, per anni si è nascosta dietro uno pseudonimo, ma lo scorso anno si è celebrato il decennale del suo successo ed è uscita allo scoperto. I suoi libri hanno venduto 50 milioni di copie nel mondo, di cui 20 milioni in Italia, tradotti in 35 lingue, in 150 paesi, ha conquistato le classifiche americane.

Elisabetta Dami nasce nel mondo dell’editoria, figlia dell’editore Piero Dami cresce respirando l’ambiente dei libri. Il successo del topo giornalista investigatore, arriva appunto 10 anni fa alla Fiera del libro di Bologna dove con un efficace lancio pubblicitario Stilton cambia casa editrice passando dalla Dami alla Piemme che riesce ad esaltarne le caratteristiche.

Ma a cosa è dovuto il successo dei suoi libri? I libri di Stilton sono trasgressivi, riescono a far convivere fumetto e racconto, è presente una grafica particolare dove la parola CALDO è scritta in rosso e FREDDO in azzurro trasparente, RUMORE invade la pagina, BISBIGLIO è evanescente.

Gli esperti della cultura dell’infanzia non sono benevoli nei confronti di Geronimo, che sicuramente ha il merito di fare avvicinare molti bambini alla lettura.

Le storie di Stilton sono autobiografiche, l’autrice vanta anche il brevetto di paracadutista e pilota. Oltre ad essere avventurose, fanno riferimento alla vita quotidiana ai problemi sul lavoro, altre storie fanno riferimento alla grande letteratura, non trascrivono i classici ma li rivivono alla propria maniera. Nelle “grandi storie” Heidi, Peter Pan e persino l’Odissea sono riletti in chiave topesca. Le storie portanti sono nella serie “storie da ridere”oltre settanta titoli dove un libro tira l’altro. In televisione sono approdati i cartoni animati di Geronimo Stilton e in edicola è uscito lo scorso settembre un” Focus Geronimo Stilton”. Sicuramente lo sguardo di Elisabetta Dami ha colpito nel segno andando incontro a quelli che sono i gusti e le esigenze dei bambini in età scolare.

Bianca Pitzorno

Concludiamo questo nostro breve percorso su questi personaggi al femminile contemporanei parlando di Bianca Pitzorno. Nata a Sassari nel 1942,vive e lavora a Milano. Laureata in lettere antiche a Cagliari si trasferisce a Milano per frequentare la scuola Superiore delle Comunicazioni Sociali dove si specializza in cinema e televisione. Collabora con la Rai, tra i suoi programmi più conosciuti troviamo Chi sa chi lo sa? Dirondolando e L’albero azzurro.

Ha pubblicato il suo primo romanzo nel 1970 e dal 1977 fa la scrittrice a tempo pieno. I suoi romanzi sono rivolti perlopiù a ragazzi tra i 10 e i 14 anni.

Tra i suoi libri ricordiamo Ascolta il tuo cuore. In classe la nuova maestra viene soprannominata Arpia Sferza. Ogni giorno nella 4D succedono delle vere e proprie battaglie, amori, tradimenti… settantatrè capitoli da leggere tutti di un fiato oppure da gustare uno per uno con calma.

La bambina col falcone: ancora in fasce la piccola Melisenda, secondogenita di un falconiere al servizio di Federico II, riceve un segno del destino sotto forma di un grande uccello rapace che si posa sulla sua culla…

Nel libro La voce segreta,come nei i due precedenti è chiaro un contatto tra passato e presente, tra realtà e fantasia. Cora deve andare a scuola tra un anno, ma è già in grado di fare da baby sitter a due fratellini gemelli appena nati, e grazie a misteriose ricette magiche riesce a fare spuntare ali segrete sulla schiena di uno dei bambini…

Non possiamo non ricordare l’esilarante L’incredibile storia di Lavinia: in un freddissimo Natale milanese ai giorni nostri, Lavinia è una piccola fiammiferaia e,come da copione è sola al mondo e sta per morire di freddo e di fame. A salvarla arriva in taxi una fata che le regala un anello magico. Nel libro La casa sull’albero due amiche decidono di abitare in cima ad un albero. Inutile dire che si tratta di un albero fantastico popolato da strani personaggi.

Bianca Pitzorno oggi è considerata la più grande scrittrice per ragazzi ha ottenuto diversi riconoscimenti e i suoi libri sono tradotti in Francia Germania Spagna. Ha pubblicato un solo libro per adulti, ma più di trenta per ragazzi.

Abbiamo compiuto questo rapido percorso nella letteratura per l’infanzia vista con uno “sguardo al femminile” cogliendo quelli che sono i gusti e, di conseguenza i suggerimenti dei lettori della sala ragazzi. Sicuramente il nostro viaggio è stato breve perché potevamo citare anche Beatrice Masini, Silvana De Mari, Silvia Roncaglia, Lia Celi, Francesca Lazzarato, Anna Lavatelli, Paola Zannoner. Non abbiamo per nulla citato le autrici straniere, tante donne che hanno scritto e che scrivono per i nostri ragazzi… Non ce ne vogliano!

A cura della biblioteca pubblica di Cernusco sul naviglio